Difesa

Caschi blu in Libano: Portolano rinnova l’appello di Crosetto per maggiori poteri

L’Italia chiede alle Nazioni Unite che vengano riviste le regole d’ingaggio. Da mesi il ministro della Difesa Guido Crosetto sollecita l’Onu a mettere mani a soluzioni inadeguate. Quella sulla validità attuale della missione Unifil “è una riflessione che sto facendo da più di sei mesi con l’Onu e che lascio quindi alle mie interlocuzioni quotidiane con le Nazioni Unite”.

Mandato ampio, mani legate

«Il mandato emanato per Unifil è adeguato», fa eco alle dichiarazioni del ministro Crosetto il neo Capo di Stato Maggiore della Difesa Portolano. Ma ecco il paradosso: «Ciò che non è adeguato e che mi ha creato spesso frustrazione anche nei confronti della popolazione locale sono le regole d’ingaggio che non sono proporzionali ai compiti assegnati alla forza». Traduzione: i nostri soldati hanno un compito titanico ma sono armati di fionde contro missili.

La trappola del disarmo impossibile

La risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU prevede il disarmo dei gruppi armati in Libano. Ma come si disarma Hezbollah con le mani legate? Portolano lo dice chiaramente: le regole d’ingaggio non sono proporzionali «alla capacità e la necessità di disarmo dei gruppi armati in Libano, nella fattispecie Hezbollah».

Difesa negata?

Il nodo fondamentale è la protezione dei nostri militari. Con 1.068 soldati italiani sul terreno, parte dei 3.500 Caschi Blu del settore ovest, la domanda sorge spontanea: possono difendersi adeguatamente se attaccati? Le attuali regole d’ingaggio sembrano dire di no, creando uno scenario kafkiano in cui i peacekeepers potrebbero diventare bersagli inermi.

Geopolitica del paradosso

Mentre l’Italia cerca di navigare in queste acque turbolente, altri attori regionali osservano con interesse. Israele, attraverso il premier Netanyahu, ha addirittura chiesto la rimozione di UNIFIL dalle aree di combattimento di Hezbollah. Una mossa che, se attuata, renderebbe la missione non solo inutile ma potenzialmente dannosa per la stabilità regionale.

Un futuro incerto

Con la situazione in rapida evoluzione, il rischio è che i Caschi Blu italiani si trovino intrappolati in un conflitto per il quale non sono né equipaggiati né autorizzati a gestire. La linea sottile tra peacekeeping e coinvolgimento attivo nel conflitto non è mai stata così sfumata.

Ridimensionata l’altra missione

Intanto, è stata fortemente ridimensionata l’altra missione italiana in Libano, quella bilaterale, Mibil, che ha il compito di formare i militari libanesi. Il grosso dei circa 200 italiani impegnati è rientrato da Beirut per la mancanza delle condizioni di sicurezza.

Chiamata all’azione

Le parole di Crosetto e di Portolano non sono solo un’analisi, sono un campanello d’allarme. È ora che l’ONU, l’Italia e la comunità internazionale si siedano al tavolo per riscrivere le regole del gioco. In ballo non c’è solo l’efficacia di una missione, ma la vita di oltre mille soldati italiani e la stabilità di una regione già sull’orlo del precipizio.

Il tempo delle mezze misure è finito. O si dà ai Caschi Blu italiani il potere di agire e difendersi, o si rischia di trasformare una missione di pace in un tragico spettacolo di impotenza internazionale.

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