Carabiniere ruba 15 euro al collega in caserma: la Cassazione non perdona, ricorso inammissibile e 3.000 euro di condanna
(di Avv. Umberto Lanzo)
Un furto da pochi euro che diventa un caso giudiziario militare
Quindici euro. Una banconota da dieci e una da cinque. È questa la somma al centro di un procedimento penale militare che, dal settembre 2021, è approdato fino ai vertici della giustizia italiana.
L’imputato, all’epoca dei fatti carabiniere in ferma volontaria, era accusato di furto militare aggravato (artt. 230 e 47 n. 2 c.p.m.p.) per essersi introdotto furtivamente nella cameretta di un collega, all’interno della Stazione dei Carabinieri di Termini Imerese, sottraendo il denaro dal portafoglio custodito sul tavolo.
La presunta vittima, insospettita da precedenti ammanchi, aveva installato due telecamere: una nella stanza, un’altra integrata nel proprio computer. Le immagini registrate mostravano il militare indagato entrare nella stanza il 16 e il 18 settembre 2021; nel secondo episodio, ripreso mentre frugava e afferrava un oggetto di dimensioni compatibili con un portafoglio.
La difesa: “Una vendetta architettata, nessun furto”
In dibattimento, l’imputato ha ammesso di essere entrato nella stanza del collega in entrambe le date, sostenendo però di averlo fatto per cercare un joystick o per “fare uno scherzo”.
Il suo legale ha parlato di una “condotta di vendetta” messa in atto dalla parte offesa, che, in seguito a un precedente scherzo subito, avrebbe architettato una falsa accusa.
Secondo la difesa, le immagini video non mostravano né un portafoglio né l’estrazione di banconote, come attestato anche da una consulenza video-fotografica di parte.
I giudici militari: versione difensiva inattendibile
Il Tribunale militare di Roma, prima, e la Corte militare d’appello di Roma, poi, hanno ritenuto provata la responsabilità penale dell’imputato.
A pesare nella decisione:
- la testimonianza diretta della parte offesa, ritenuta credibile e coerente;
- le riprese video che mostravano un comportamento furtivo e il tentativo di coprire il computer presente nella stanza;
- la dichiarazione di un altro militare, che vide l’imputato entrare nella stanza (chiusa a chiave) e poi uscirne.
Per i giudici, l’ipotesi dello scherzo non trovava alcun riscontro, anche alla luce dei rapporti non amichevoli tra i due militari. Le testimonianze citate dalla difesa non fornivano elementi utili sul fatto specifico.
Cassazione: “Doppia conforme” e ricorso privo di fondamento
Il 2 aprile 2025, la Prima Sezione Penale della Cassazione (Presidente e Relatore omessi) ha dichiarato inammissibile il ricorso, sottolineando la presenza di una doppia conforme: le sentenze di primo e secondo grado coincidevano pienamente per ricostruzione dei fatti e valutazione delle prove.
La Suprema Corte ha ricordato che, in tale situazione, è possibile censurare solo l’omesso esame di temi probatori decisivi, indicati e trascurati in appello, o la manifesta distorsione delle prove in entrambi i gradi di giudizio. Nessuna di queste condizioni era presente.
Secondo i giudici di legittimità, la responsabilità dell’imputato era fondata su un compendio probatorio plurimo, coerente e convergente, e il ricorso si limitava a proporre una mera rilettura dei fatti, operazione preclusa in Cassazione.
Non punibile per tenuità del fatto, ma condannato a pagare
Pur confermando la responsabilità penale, i giudici di merito avevano applicato l’art. 131-bis c.p. (particolare tenuità del fatto), dichiarando l’imputato non punibile. Tuttavia, la Cassazione ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a versare 3.000 euro alla Cassa delle Ammende, ritenendo colposa la proposizione di un ricorso manifestamente infondato.
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