Carabiniere punito e trasferito per violazione della quarantena: chiede mezzo milione di euro di risarcimento
(di Avv. Umberto Lanzo)
Il pasto fuori regole costato caro
Un luogotenente dei carabinieri, arruolato a metà degli anni Ottanta e in servizio fino al congedo del gennaio 2022, aveva presentato ricorso contro il Ministero della Difesa e il Comando generale dell’Arma chiedendo un risarcimento da 434.736,20 euro.
Il caso risale al 22 gennaio 2021, quando l’ufficiale, posto in quarantena precauzionale in un albergo di Porto Empedocle, venne sorpreso a consumare un pasto insieme ai suoi uomini, violando le disposizioni anti-Covid.
Il provvedimento disciplinare non lasciava margini di interpretazione: la condotta costituiva una “grave violazione dei doveri attinenti al grado, alla dipendenza gerarchica, ai doveri propri dei superiori, all’iniziativa, al senso di responsabilità ed al contegno”. La sanzione fu di sette giorni di consegna.
Il trasferimento d’autorità
Alla sanzione seguì un secondo atto: il trasferimento d’autorità disposto il 26 febbraio 2021, motivato con il venir meno del rapporto di fiducia con il comandante di Compagnia. L’ufficiale fu assegnato a un reparto privo di incarichi operativi, evento che – secondo il suo ricorso – avrebbe comportato una perdita mensile di circa 1.000 euro e ripercussioni sul montante pensionistico.
Il militare presentò anche certificazioni mediche, in cui si parlava di “crisi ipertensiva” e “sindrome depressiva reattiva”, fino al giudizio del Dipartimento Militare di Medicina Legale di Messina del 27 gennaio 2022: “non idoneo permanentemente al servizio militare”.
L’accusa di straining e il ricorso
Nel ricorso, l’ex luogotenente sosteneva che l’amministrazione avesse posto in essere una condotta persecutoria, qualificata come straining, causa di danno patrimoniale e non patrimoniale.
A sostegno, produsse anche una relazione del Centro Anti-Mobbing dell’Asp di Palermo, secondo cui il soggetto presentava “fenomeni di somatizzazione dell’ansia e deflessione del tono dell’umore, quale risultato dell’esposizione ad una condizione vessatoria, discriminatoria e stressante”, compatibile con un disturbo dell’adattamento persistente.
La sentenza: “Condotta gravemente illegittima”
Il Tar Sicilia, sezione terza, con sentenza depositata il 6 giugno 2025, ha respinto il ricorso.
Nelle motivazioni si legge che i provvedimenti disciplinari erano “giustificati dalla grave condotta del ricorrente che, nonostante il ruolo di Capo Squadra, ha assunto decisioni in aperta violazione delle norme di contenimento del Covid-19”.
Ancora più duro il passaggio relativo all’ordine dato ai colleghi: “L’ordine volto a consentire la consumazione del pasto in socialità, pur tra contagiati, è gravemente illegittimo, oltre che inopportuno”.
I giudici hanno sottolineato come l’episodio fosse stato stigmatizzato da un altro reparto non in quarantena, a riprova della gravità del comportamento: «L’illegittimità dell’ordine, discendente dall’incompetenza a disporlo, oltre che dalla normativa anticontagio, unita al clamore suscitato, giustificano entrambi i provvedimenti negativi assunti.»
Nessuna responsabilità dell’amministrazione
Il Tar ha escluso che vi fosse stato un comportamento persecutorio, affermando che “i danni lamentati sono direttamente ascrivibili allo stesso ricorrente, per avere l’amministrazione agito nell’esercizio di un proprio diritto”.
Le conseguenze depressive, pur definite “meritevoli di umana comprensione”, sono state considerate “causalmente occasionate dal contegno dello stesso ricorrente”.
La condanna alle spese
Il ricorso è stato dunque rigettato integralmente. L’ex luogotenente non riceverà alcun risarcimento e dovrà anzi rimborsare 2.000 euro di spese legali al Ministero della Difesa e al Comando generale dell’Arma.
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