BRICS e Nuovo Ordine Mondiale: Cooperazione e Competizione nella Geopolitica Contemporanea
(di Paolo Savona) – Per esaminare il tema del nostro incontro dobbiamo avere chiaro in mente i concetti di modello cooperativo e modello competitivo nelle relazioni geopolitiche, tutti argomenti che gli economisti e i politologi hanno lungamente discusso senza pervenire a una convergenza di valutazioni. La realtà ha provveduto a colmare la lacuna accertando con la globalizzazione, massima espressione economica della competizione con cooperazione geopolitica, che i due modelli possono convergere migliorando il progresso economico e sociale; essi si pongono in contrapposizione solo se la politica lo vuole, non per la loro intrinseca natura. Chiarisco il concetto.
Inizio dagli aspetti teorici. Nella Ricchezza delle Nazioni Adam Smith sostiene che, per crescere razionalmente, l’attività economica ha bisogno di un mercato competitivo, che non comporta conflitto, ma competizione, nel significato latino cum petere, concorrere verso un comune obiettivo. In questo modello svolge un ruolo importante la divisione del lavoro, un concetto che già Aristotele nell’Etica Nicomachea aveva evidenziato come fondamento dell’economia (la scienza del “governo della casa”, in senso lato dell’impresa e dello Stato), un assetto organizzativo dove emerge il migliore, ossia un assetto di tipo meritocratico che avvantaggia i migliori. Perciò la competizione è considerata un modo “iniquo” di gestire le risorse scarse, perché vince il più bravo (che talvolta è il più forte), e perciò occorre la cooperazione, che ha lo scopo di assistere i più deboli (o meno forti). Competizione e cooperazione sono due facce di una stessa medaglia coniata per gli individui, le imprese e gli Stati.
Passo dalla teoria alla pratica. Dopo due tragiche Guerre mondiali e una dura lotta per la supremazia di come organizzare una società siamo giunti nella parte finale del XX secolo a un Modello dell’ordine mondiale con caratteristiche cooperative e competitive in quasi armonia tra loro. Lo scontro tra le diverse impostazioni sociali è consistito tra un’organizzazione dove l’individuo ‘appartiene’ a se stesso e stabilisce le proprie sorti (per semplicità il liberalismo) o un’altra dove l’individuo ‘appartiene’ allo Stato, che stabilisce i suoi fini (per semplicità il comunismo); di converso, tra un’economia che ricorre a una gestione decentralizzata delle risorse (il libero mercato) a una gestione centralizzata (la programmazione). I momenti principali di questo processo storico selettivo sono stati l’Accordo di Bretton Woods del 1944, quello sino-americano di Shanghai del 1972, la dissoluzione dell’URSS del 1992 e la nascita del WTO nel 1995, al cui accordo aderì la Cina nel 2001.
Questi e altri accordi internazionali hanno dato vita a un Ordine geopolitico-economico che non ha mai abbattuto completamente le barriere protettive agli scambi, né interrotto i conflitti bellici locali, ma ha tenuto a freno l’esplosione di più estesi conflitti e permesso l’ampliarsi del commercio globale, beneficiando la crescita reale della maggior parte dei paesi del mondo. Non presento dati statistici, peraltro ben noti, e mi limito a ricordare che questo Ordine mondiale ha consentito di raddoppiare il commercio mondiale dal momento del suo avvio, trascinando la crescita interna dei paesi in proporzione alla rispettiva capacità di partecipare agli scambi globali, come indicato dai rispettivi terms of trade.
L’uso dei termini competizione e cooperazione vanta solide basi logiche, mentre altri termini che vengono utilizzati – come “coesistenza competitiva”, “partenariato commerciale”, “competizione senza conflitto” – contengono elementi che allontanano il mondo dalla pur globalizzazione degli scambi di cui il mondo ha bisogno. Il compito che ci attende è costruire un Nuovo Ordine Mondiale basato su un modello cooperativo-competitivo equilibrato, ossia che operi in modo più equo nel disequilibrio tra forti e deboli.
Il Modello descritto viene oggi messo in forse dalle vicende legate alla mancata soluzione del confronto tra il bipolarismo Stati Uniti-Resto del mondo e il multipolarismo Stati Uniti-Cina-Resto del mondo (Russia, India e una cinquantina di altri paesi che propongono un modello di competizione-cooperazione a blocchi, come intende essere la BRICS ampliata da 5 a 11 e allargata fino a 51. Una recente documentata analisi del problema è stata presentata da Data Room del Corriere della Sera curata da Milena Gabanelli e Giuseppe Sarcina, mossa dagli stessi scopi di questo nostro incontro. La conclusione è che una competizione-cooperazione a blocchi fornirebbe prestazioni limitate rispetto alla soluzione globale. Peggio ancora sarebbe se si cristallizzasse la tendenza a un modello protezionistico tra paesi o tra aree politicamente organizzate, come testimoniano l’applicazione di due mila nuovi dazi agli scambi internazionali, perché i danni alla crescita reale e alla convivenza civile globale sarebbero irreparabili. Il rischio ancora maggiore sarebbe se il protezionismo senza cooperazione politica alimenti nuovi e peggiori conflitti bellici; non a caso già si parla autorevolmente dell’avvio di una guerra mondiale “frazionata”.
Vado ora al di là della teoria e della pratica. L’unica obiezione meritevole di attenzione mossa alla globalizzazione degli scambi è che peggiora la distribuzione del reddito e della ricchezza sia all’interno, che all’esterno dei paesi, inducendo nuove spinte neo-protezionistiche, peraltro mai sopite. Ossia che all’origine dell’abbandono del Modello geopolitico-economico faticosamente elaborato vi asia una distribuzione del reddito “iniqua”, che scuote le basi della convivenza civile tra popoli e al loro interno, i cui effetti dipendono dalla cultura popolare, dalle forme monopolistiche e monopsonistiche del mercato (si pensi all’OPEC) e d. agli sviluppi delle innovazioni tecnologiche; soprattutto queste ultime sono diventate un fattore che influenza l’Ordine geopolitico globale perché i paesi hanno instaurato tra loro una particolare competizione, quella della ricerca di una superiorità tecnologica nell’infosfera (la sfera virtuale delle informazioni, dell’intelligenza artificiale e delle macchine pensanti), spingendoli a un protezionismo rivestito da:
- una ‘doverosa’ protezione della sicurezza dello Stato,
- la ‘lotta’ alla concorrenza sleale causata dalla concessione di aiuti di Stato alle imprese produttive,
- la ‘presenza’ di una competizione alterata da oneri per il welfare profondamente diversi e
- una sproporzione crescente tra moneta e finanza al servizio della crescita o della speculazione.
Sono tutte valide argomentazioni, che non tengono però conto che la globalizzazione, con tutti i suoi difetti, ha consentito di trarre dallo stato di povertà circa un miliardo di abitanti del Pianeta, di innalzare, pur con diversità significative, il livello di benessere di altri sei miliardi e di creare spazi di nuova vita per un altro miliardo di abitanti del Pianeta.
Che fare? Gli investimenti infrastrutturali restano il veicolo della crescita nazionale e della cooperazione internazionale, come l’Europa ha riconosciuto con l’NGEU (da noi PNRR). Una scuola, un ospedale, una strada, un porto, un aeroporto, costruzioni antisismiche, reti elettriche e informatiche, e media che operano su basi scientifiche non sarebbero solo simboli di progresso e di pace, ma anche propizierebbero la cooperazione all’interro e all’esterno dei popoli. Il modello cooperativo non ha alternativa per il benessere della popolazione del Pianeta e quello non cooperativo è la via del disastro, qualcosa di più della Via della schiavitù (1944) di Friedrich von Hayek, perché alla schiavitù ci si può anche adattare, ma non al disastro che crea il rifiuto del Modello geopolitico competitivo-cooperativo affermatosi al grido d Milton Friedman Libero di scegliere (1980).
Oggi ci troviamo in una situazione simile a quella esaminata da Keynes per la Grande depressione del 1929-31. Egli scrisse: Siamo entrati in un circolo vizioso che ci induce a non fare niente perché mancano le risorse, ma queste mancano perché non facciamo niente per propiziarle, il giudizio regge comunque: è infatti la mancata cooperazione, non la sua eliminazione, che crea minor benessere e maggiore povertà. La depressione economica non è nelle cose, ma una condizione voluta.
In molti studiano quale sia il modello cooperativo-competitivo di cui necessita il mondo in presenza di un crescente sviluppo delle tecniche e degli strumenti di data science. Io stesso ho pubblicato con Fabio Vanorio un lavoro intitolato Geopolitica dell’Infosfera, ma esistono ormai migliaia di scritti in materia, che si scontrano con una realtà mutevole e diversa. Esattamente un mese fa, il Presidente Biden ha emesso un Executive Order on the Safe. Secure, and Trustworthy (affidabile) Develpment and Use of Artificial Intelligence. Esso riguarda le soluzioni che gli Stati Uniti intendono dare ai problemi sollevati dalla collocazione dell’intero mondo nell’Infosfera dell’attività umana, che il resto del mondo deve considerare.
Per concludere, la risposta di un economista ai problemi dell’Italia non si può discostare dal considerare che il nostro è un modello di sviluppo basato sulle esportazioni, che fa dipendere il nostro benessere dall’esistenza di un Modello mondiale cooperativo-competitivo; sui benefici di questo Modello che ho ricordato non possono esservi dubbi, mentre per sanare le conseguenze negative si dovrebbe contare su una moderazione della finanza pubblica per lasciare spazio all’uso del risparmio a supporto delle capacità delle imprese esportatrici italiane; la loro resilienza sistemica agli shock epocali che si sono susseguiti nel tempo ha una valida testimonianza nel surplus della nostra bilancia dei pagamenti corrente con l’estero che dura da oltre un decennio. L’Italia vive al di sotto delle proprie risorse, che solo una soluzione cooperativa-competitiva mondiale propiziata dal dialogo può trasformare in crescita reale e benessere sociale.
Intervento tenuto presso la Sapienza il 30.11.2023 nel convegno riguardante la tematica “BRICS E NUOVO ORDINE MONDIALE”.