BANDA DI SARDI INSULTATA E PICCHIATA IN CASERMA? ASSOLTI DIECI CARABINIERI
I sequestratori sardi che nel 2010 rapirono Antonio Buglione, considerato il re degli istituti di vigilanza in Campania, non furono picchiati e seviziati in caserma subito dopo l’arresto. I dieci carabinieri del nucleo operativo di Castello di Cisterna, nel napoletano, che erano stati accusati pesantemente dal bittese Pasquale Scanu, dal silanese Domenico Porcu e dal nuorese Giuseppe Boccoli, sono stati assolti con formula piena. Finiti a processo per abuso di autorità, odio razziale e lesioni personali, escono indenni dal processo celebrato in Tribunale a Nola. La sentenza che li scagiona è passata in giudicato e il giudice che l’ha emessa ha disposto il trasferimento degli atti alla Procura per valutare se i tre sardi hanno commesso il reato di calunnia.
IL SEQUESTRO – Porcu, Scanu e Boccoli furono arrestati il 3 novembre del 2010, nella metropolitana di Roma, perché ritenuti parte del commando che a settembre, pianificò e mise in pratica il sequestro lampo di Buglione. Scanu e Boccoli erano stati condannati dalla Corte di assise di Napoli e dalla Corte di assise d’appello rispettivamente a 28 e 26 anni di reclusione. La Cassazione però, aveva annullato senza rinvio le sentenze disponendo la ripresa del processo dall’udienza preliminare. Nel 2015 Scanu era stato arrestato a Olbia, mentre pedalava sulla mountain bike. Il suo nome, nel marzo del 2016, compare nella maxi inchiesta del pm Danilo Tronci sulla banda che preparava assalti ai furgoni portavalori.
LE ACCUSE – Solo dopo dieci mesi dall’arresto per il sequestro Buglione, Porcu si decise a denunciare quei presunti abusi subiti durante l’arresto. Abusi che confermarono anche gli altri due sardi finiti in manette nella stazione della metro Anagnina di Roma. Per i giudici, nel loro racconto, c’erano troppe incongruenze.
LA MOTIVAZIONE – “A parere del Collegio – si legge nella sentenza – le dichiarazioni delle persone offese non superano il vaglio né della credibilità soggettiva di ciascuno di essi né della attendibilità intrinseca oggettiva del loro racconto. Non c’è alcun elemento di prova che consenta di sostenere le accuse e la ricostruzione processuale denota la mendacia delle dichiarazioni rese dalle persone offese, che devono perciò ritenersi mosse da un intento calunniatorio”. (Redazione Unione Sarda)