A PROCESSO IL COLONNELLO DEI CARABINIERI CHE HA DIFFAMATO IL MARESCIALLO CAPOSCORTA DEL PM NINO DI MATTEO
(di Lorenzo Baldo) – Rinviato a giudizio il colonnello dei Carabinieri Giammarco Sottili per aver diffamato il maresciallo Masi, attuale caposcorta del pm Nino Di Matteo. La decisione del giudice del Tribunale militare di Roma, Gaetano Carlizzi, arriva come un fulmine a ciel sereno. Accolta in pieno la richiesta del sostituto procuratore militare Antonella Masala per la quale il reato di “diffamazione continuata e pluriaggravata” da parte dell’attuale dirigente della Legione CC “Sardegna” di Cagliari, quale Capo di Stato Maggiore, c’era tutto.
“E’ quasi ridicolo – scriveva Sottili in un comunicato stampa del 2013 ripreso in toto da Panorama e da svariati mezzi di informazione – oggi sentire dire, sia pure da personaggi discutibili (Saverio Masi e Salvatore Fiducia, ndr), che avremmo coperto la latitanza dello stesso boss (Bernardo Provenzano, ndr) del quale, secondo la Procura, abbiamo accelerato la cattura. Nell’ambito di uno splendido nucleo di 180 uomini, coraggiosi e capaci, si tratta pur sempre di scorie (Masi e Fiducia, ndr) che hanno ritenuto di poter svolgere la lotta a Cosa nostra a chiacchiere o riciclando qualche notizia rimasticata da far confluire in qualche relazione di servizio per potersi ritagliare uno spazio per fare i comodi propri mentre i loro colleghi si impegnavano per conseguire successi concreti per i cittadini e lo Stato”.
Nella successiva denuncia-querela di Sottili, lo stesso ufficiale dei Carabinieri ironizzava sulle denunce di Masi in merito alla mancata cattura di Matteo Messina Denaro (“Fermato da chi? Verrebbe da chiedersi, se non dalla sua stessa paura”). L’ex Comandante del Reparto Operativo di Palermo, difeso dall’avvocato Ugo Colonna, scriveva della “incapacità di Masi… che… non potrebbe accusare i propri superiori di collusione col latitante, ma se stesso di incompetenza”. Stesso trattamento per Salvatore Fiducia che secondo l’ufficiale dei Carabinieri “ha prodotto solo chiacchiere” in quanto “si tratta di un investigatore mediocre che non si è mai occupato di indagini serie”.
In sostanza Sottili definiva Masi e Fiducia “ciarlatani” per poi aggiungere che “le cose di cui vanno ciarlando sono solo fandonie” in quanto le loro affermazioni sarebbero “frutto esclusivamente dell’ignoranza degli interessati”. “Tutti coloro che hanno conosciuto Masi ridono delle sciocchezze che, a rate, va raccontando alla stampa”, concludeva Sottili. Di tutt’altro avviso i magistrati militari che hanno invece riscontrato nei confronti del Colonnello dei Carabinieri “le aggravanti del grado rivestito” evidenziando che “l’offesa” è “consistita nell’attribuzione di fatti determinati”. La prossima udienza è stata fissata per il 20 luglio.
Certo è che dall’inchiesta della Procura militare di Roma (che ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio di Sottili) sono emerse proprio quelle autorizzazioni all’uso dell’auto privata per le indagini – che attestano la correttezza di Masi – in merito all’episodio che gli è costato una condanna in cassazione a sei mesi per falso materiale e tentata truffa. Il rinvio a giudizio dell’ex Comandande del Reparto Operativo di Palermo arriva in un momento decisamente cruciale dell’inchiesta che vede contrapporsi Masi, Fiducia, e i cinque ufficiali accusati di avere ostacolato la cattura di Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro negli anni che vanno dal 2001 al 2008. Allo stato è pendente una richiesta di archiviazione da parte della Procura di Palermo per i denunciati e i denuncianti.
Per quanto riguarda il processo nei confronti del legale di Masi,Giorgio Carta, e degli 8 giornalisti che si sono occupati del caso Masi-Fiducia siamo alle battute iniziali, tra poco più di un mese è prevista l’udienza a Roma. A gennaio, a Bari, è prevista invece la prima vera udienza del processo contro Masi nato dall’esposto di Sottili per un articolo del Corriere della Sera sul suo caso.
Dopo la pausa estiva, quindi, si prevedono un autunno e un inverno decisamente“caldi” sul fronte di questa delicata inchiesta. Fare luce sulla rete di protezione di quei latitanti che “non dovevano essere catturati” è indubbiamente un’impresa ardua. Ma non impossibile.