SQUILIBRIO TRA DIRIGENTI E OPERATIVI NELLE FORZE ARMATE E DI POLIZIA E IL MANTENIMENTO DI ESBORSI FUORI DAI TEMPI
Invece di concedere il “biscottino” degli 80 euro di bonus alle Forze dell’ordine, in un tempo in cui tagliare significa risparmiare, dobbiamo a mio avviso concentrare gli sforzi su tagli specifici e non lineari.
La politica del momento ha in atto un piano di interventi che mira ad un ridimensionamento delle Forze Armate e quelle di Polizia al solo fine di rispettare i vincoli di bilancio.
Queste azioni, però, sono spesso fuori dal concetto della logica e della condivisione e stanno creando diversi pasticci nel Settore Sicurezza e Difesa, come quello dello scioglimento del Corpo Forestale.
Il problema principale, però, non è il numero delle forze in campo, ma la ridondanza delle infrastrutture e la duplicazioni delle funzioni. Ed è evidente, ad esempio, come ci sia un forte squilibrio tra il numero di dirigenti e il numero di esecutori.
“Nell’Esercito – ha scritto il 20 marzo del 2014 il giornale on-line La Notizia – tra generali (di brigata, di divisione e di corpo d’armata) e colonnelli si contano 2.947 unità operanti, contro un organico che ne prevede, tra ruoli ordinari e ruoli speciali, massimo 2.286. Quindi solo il nostro esercito conta la bellezza di 688 unità dirigenziali in più. (…) E allora ecco il computo finale: tra Esercito, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia e Corpo Forestale si registrano 527 unità dirigenziali in più rispetto al previsto (4.905 contro 4.378 previsti) e un deficit, invece, di 39.706 tra sovrintendenti e sergenti e 19.095 agenti semplici.”
Una particolare attenzione, però, bisogna porla per coloro che sono equiparati per grado e stipendio al generale di corpo d’armata. Tra questi, l’ordinario militare, capo di un’arcidiocesi speciale composta dai 182 cappellani militari, tutti inquadrati come ufficiali che svolgono l’attività pastorale nelle caserme.
Riportiamo un passaggio dell’articolo apparso su L’Espresso del 27 aprile 2012. “Il problema delle pensioni dei cappellani è un vero dilemma: interrogato da Maurizio Turco dei Radicali, l’allora ministro della difesa Di Paola ha risposto che l’Inpdap non sa dire a quanto ammontino, ma ha stimato che la media degli assegni per i 160 religiosi, di cui 16 alti graduati, si aggiri sui 43 mila euro lordi annui. Sommandoli agli 8,6 milioni di euro che costano i 184 cappellani in attività, vescovi compresi, si arriva a 15 milioni. Un bel costo per «l’assistenza spirituale delle forze armate».
A pare l’impegno economico la figura del prete-militare è molto dibattuta da sempre.
Già nel 1865, nelle Forze armate del Regno d’Italia si contava la presenza di ben 189 cappellani militari. Con l’occupazione di Roma (1870) il numero fu ridotto fino alla loro completa eliminazione (1878). Nel 1915, il generale Cadorna reintrodusse nuovamente la figura del cappellano e furono arruolati diecimila “preti-soldati” di cui 2.070 destinati ai corpi combattenti. Nel 1922 il loro servizio fu di nuovo soppresso, confermando la posizione laica degli stati maggiori delle forze armate. Pochi anni dopo, con una trattativa riservata tra Stato e Santa Sede, fu istituito l’Ordinariato militare con la legge 417 del 1926, che istituiva un contingente permanente di cappellani in tempo di pace. Infine, con il Concordato del 1929, è stata recepita la presenza religiosa nelle Forze armate.
Ai giorni nostri, però, in considerazione della riconosciuta veste laica delle Forze Armate, la domanda è tornata di grande attualità: perché pagare un “prete-militare” e non lasciare alla libera coscienza del singolo militare professare la propria fede? E poi, in concreto, quanto volte si vede nelle caserme un ordinario, vicario o arciprelato militare? Volendo esagerare, due volte all’anno, in occasione del precetto pasquale e di quello natalizio.
Ma se si tratta di una missione caritatevole, perché retribuirla? Perché non investire il risparmio, che supera i 15 milioni di euro annui (metà del bilancio del sopprimendo Corpo Forestale, pari a 30 milioni escludendo gli stipendi, che comunque rimarrebbero) sulla contrattazione e sulla specializzazione dei corpi?
Se dobbiamo tagliare, facciamolo. Ma partendo dai numeri, non dalle competenze.
ANTONIO TODISCO
di Tricase – Capo di Leuca