Carabinieri

Messina Denaro, il generale Luzi: “Lo abbiamo sempre cercato in Sicilia”

Da oltre un anno indagavamo su tutte le persone con le stesse particolari patologie di cui soffre Matteo Messina Denaro. Abbiamo effettuato verifiche e alla fine abbiamo centrato l’obiettivo”.

Lo ha detto al “Corriere della Sera” Teo Luzi, il comandante generale dei Carabinieri. Il clima che si respira al comando di viale Romania, al centro della capitale, è di euforia contenuta ma la soddisfazione è immensa. Il generale ha capito che era fatta “un quarto d’ora dopo la cattura, quando il comandante del Ros Pasquale Angelosanto mi ha avvisato. Nell’ultimo mese avevamo capito che il cerchio si stava stringendo e sapevamo che ogni momento poteva essere quello buono. Negli ultimi giorni eravamo più consapevoli, ma la storia ci ha insegnato che nulla è scontato soprattutto quando si tratta di un capomafia”. “Da tempo – racconta il comandante – stavamo effettuando uno screening nelle cliniche private e nelle strutture pubbliche sulle persone curate per questa particolare patologia. E poi tenevamo sotto controllo la cerchia di fiancheggiatori che evidentemente gli hanno dato copertura”.

La mafia però non è sconfitta: “Questa è una battaglia vinta, non è certamente la fine della mafia. Noi continueremo la lotta contro Cosa Nostra perché il cerchio non è chiuso e anzi le indagini devono andare avanti nella consapevolezza che il nemico è tuttora forte e capace di infiltrarsi nelle istituzioni. Quando la mafia non spara non vuole dire che non sia attiva, anzi”. Il comandante riferisce alla minaccia economica: “Certo, e la cattura di Messina Denaro ci dà nuovi stimoli ad andare avanti proprio seguendo il metodo applicato finora. C’è un’altra rete, quella degli affari e delle infiltrazioni, che va smantellata”, ha concluso Luzi.

Un altro boss catturato in Sicilia, che addirittura si faceva ricoverare a Palermo e presumibilmente viveva a pochi passi da casa sua: “Le nostre ricerche si sono sempre concentrate in Sicilia, eravamo pienamente consapevoli di dover trovare un buco nella rete di protezione del capo. Ma è bene sapere che si tratta di una rete stretta e non facilmente penetrabile, dopo la cattura tutto sembra semplice. Io posso dire che noi l’abbiamo preso ma c’è stato un gioco di squadra con la polizia e con i magistrati che alla fine si è rivelato vincente. E’ il metodo di Dalla Chiesa”. Luzi chiarisce: “Avevamo un pool di investigatori dedicati esclusivamente a questa indagine e con un gioco di squadra siamo riusciti ad afferrare il filo giusto. Il metodo del generale Carlo Alberto dalla Chiesa è quello tuttora applicato dai colleghi del Ros che prevede la perseveranza e soprattutto la scelta di utilizzare le tecniche investigative tradizionali. Vuol dire raccolta di tantissimi dati informativi dei reparti dei carabinieri, intercettazioni telefoniche e ambientali, verifiche sulle banche dati dello Stato, interrogatori”. Questa cattura rappresenta “un risultato straordinario, la più grande soddisfazione della mia carriera e non potrebbe essere altrimenti, anche per quello che rappresenta. Noi abbiamo assicurato alla giustizia uno dei capi, l’uomo che ha attaccato lo Stato con le stragi”.

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