Il carabiniere Eugenio Fasano morto dopo il calcetto, la famiglia: “Ucciso a calci e pugni”
“Per il rispetto che ho della divisa devono avere rispetto dei cittadini. Chiedo all’Arma dei carabinieri di fare luce. Mio cognato era una grande persona, vogliamo sapere cos’è accaduto veramente”. Teresa Afiero è la cognata di Eugenio Fasano, il maresciallo dei carabinieri morto a gennaio 2019 dopo una partita di calcetto. Arrivato al nosocomio in condizioni disperate, è morto due giorni dopo. La Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione del caso, catalogando il decesso come morte naturale per arresto cardiocircolatorio. Non pensa sia andata così la famiglia del militare, convinta sia morto in seguito a violenti percosse. Per questo, tramite il loro legale, Donato Santoro, si sono apporti all’archiviazione. “Sono state dette molte bugie – continua Afiero – non tornano gli orari, nemmeno quelli di inizio e fine della partita di calcetto”. Quando Fasano è stato portato al Policlinico Umberto I, è entrato con ‘codice ignoto’. “Possibile che gli stessi militari con cui aveva appena giocato a pallone non hanno riconosciuto Fasano?”, chiede l’avvocato.
Morte Eugenio Fasano, la famiglia: “Indagini parziali”
Secondo la famiglia del militare, si sarebbero dovute effettuare indagini più approfondite sulla morte del loro caro. “Il pubblico ministero ha svolto solo indagini parziali – dichiara l’avvocato – Il nostro perito di parte ritiene che la morte sia avvenuta dopo un’aggressione: Fasano aveva un taglio sul labbro, sulla fronte, ma anche il costato dietro è in parte livido, vuol dire che è stato percosso, anche se non sappiamo da chi”. “Mio cognato aveva dodici costole rotte, un polmone perforato, un versamento dello scavo pelvico e un pneumotorace molto esteso – spiega Teresa – Tre costole in particolare sono sovrapposte, e in modo in cui lo sono fa pensare a calci o colpi da corpo contundente, non a un massaggio cardiaco”.
La morte del carabiniere Eugenio Fasano
Eugenio Fasano stava giocando una partita di calcetto insieme ai suoi colleghi quando si è sentito male. Il 39enne è stato prima soccorso sul posto da una dottoressa dell’Arma, e poi portato al pronto soccorso. La prima cosa che si chiede la famiglia, è perché l’uomo sarebbe stato portato in ospedale un’ora e 46 minuti dopo essersi sentito male. Già all’epoca Teresa Afiero aveva inoltre chiesto che venisse fatta luce su alcune cose che secondo la famiglia erano poco chiare. “Chiedevamo chi fossero i giocatori, dove si era giocata la partita, chi era l’arbitro, se il centro fosse dotato di servizio medico e di defibrillatore, ma ogni tentativo è stato vano”, aveva dichiarato. Ma in seguito a due inchieste, la Procura ha chiesto nuovamente l’archiviazione. Cui la famiglia si sta opponendo con forza.