IGOR TRE VOLTE NEL MIRINO DEI CARABINIERI: «NON SPARATE, ASPETTATE RINFORZI»
Una sera di quattro mesi fa
Tutto è cominciato qui, una sera dell’aprile scorso, in una stradina di campagna, poco più larga di una macchina, via Spina, a cavallo tra Consandolo e Marmorta. Igor era in fuga, aveva appena ucciso Valerio Verri, nel Mezzano, 15 chilometri più su, attorno alle 19. Scappava a bordo di un Fiorino bianco, rubato pochi giorni prima e venne intercettato e fermato in via Spina. Di quel momento, di quel faccia a faccia tra Igor e i tre carabinieri- per la prima volta – la Nuova Ferrara, può raccontare la verità, sulla base delle dichiarazioni dei tre carabinieri- testimoni, affidate all’«annotazione di polizia giudiziaria», poi trasmessa a procura e ora agli atti delle inchieste.
La verità dalla carte
Tutti cercavano quel Fiorino bianco, la caccia all’uomo dopo l’omicidio di Verri e il ferimento di Marco Ravaglia era appena cominciata, Igor in fuga viene intercettato la prima volta alle 19.45: nell’«auto di copertura» ( scrivono nel rapporto), i tre carabinieri, tutti e tre in auto e abiti civili, stanno correndo verso Argenta, da Molinella dove sono in servizio. Incrociano Igor in via Nazionale Nord, poco prima Consandolo: notano «in senso contrario un’auto di colore bianco corrispondente a quella descritta e ricercata». Poi vedono Igor svoltare in via Cavo Spina di Consandolo, fanno inversione e lo inseguono, il Fiorino li ha già distaccati di un paio di chilometri, ma danno l’allarme: «Veniva subito allertata la Centrale operativa dei carabinieri di Molinella, indicando posizione e direzione di marcia del Fiorino» dice il rapporto e si faccia attenzione a questa allerta, che dimostra il contatto con la Centrale (particolare che si spiegherà dopo).
Inseguito fino in via Spina
I carabinieri corrono dietro Igor, lo raggiungono tenendosi «ad una distanza di sicurezza di circa 100/150 metri e percorrevano via Spina fino a giungere in prossimità di un piccolo bosco sulla sinistra rispetto la direzione di marcia»: via Spina è una stradina stretta, tra Consandolo e Marmorta, che due macchine affiancate difficilmente possono percorrere. I carabinieri si fermano, vedono da lontano Igor che fa inversione e va verso di loro: Igor – raccontano i militari – «veniva monitorato e mediante contatto via telefono la centrale operativa veniva informata: i militari (spiega il rapporto, ndr) venivano esortati a mantenere la calma, a limitarsi a osservare i movimenti del soggetto, in quanto erano stati inviati i rinforzi e da lì a poco sarebbero arrivati».
Calma e aspettare i rinforzi
Anche questo è un passaggio fondamentale: i tre carabinieri, armati (M12, mitragliette e pistole, colpo in canna) vengono invitati solo a controllare. A non sparare, questa la ricostruzione ufficiale. La verità documentale, degli atti. Igor è a 100 metri da loro, a bordo del Fiorino. I tre militari «si ponevano nella parte posteriore dell’auto di servizio che al momento risultava essere l’unico riparo»: si proteggono, sanno che Igor ha appena ucciso, forse è ancora armato. Igor non li ha ancora riconosciuti come carabinieri: «a bordo del Fiorino bianco Igor si avvicina lentamente all’auto di servizio, e – descrivono i militari – risultava essere accovacciato nell’abitacolo e teneva le luci abbaglianti accese creando così disturbo nella visuale dei tre carabinieri da non permettere una efficace risoluzione mediante l’utilizzo delle proprie armi in dotazione». Il linguaggio in carabinier-burocratese raggiunge il parossismo: in poche parole, Igor punta gli abbaglianti, loro non possono vederlo bene e non sparano.
Spostatevi che passo io, Igor
Igor viene avanti, arriva a 50 metri dai tre carabinieri. All’improvviso Igor ferma il Fiorino e «con un cenno della mano con la mano sinistra fuori dal finestrino chiedeva di poter passare», visto che non li ha ancora riconosciuti e l’auto occupa la carreggiata.
Qui il primo contatto: il vicebrigadiere, il capo pattuglia, «intimava al soggetto di scendere dall’auto e mostrare le mani». Igor però innesta la retromarcia, fa 150 metri all’indietro, si allontana per fermarsi a ridosso del boschetto vicino alla strada. Lascia l’auto accesa e scende «e si addentrava con molta calma nel bosco», mentre i tre militari si avvicinavano «rimanendo a distanza di sicurezza». Attenti, perchè la beffa non finisce qui.
Un’altra colossale beffa
«All’improvviso, lo stesso (Igor, ndr) usciva dal bosco, e si avvicinava nuovamente al veicolo e prelevava uno zaino militare nel cassone del Fiorino e poi si addentrava nel boschetto». Non una selva o una giungla per Rambo, nè zona impervia come descritta da tanti: anzi un bosco di arbusti triangolare di 200/300 metri per lato. «Igor lo percorreva – spiega il rapporto – per tutta la sua lunghezza, affacciandosi poi sul lato più lungo (l’ipotenusa del triangolo, ndr) dove veniva nuovamente avvisato dai tre militari»: terza volta nel mirino mentre nel frattempo i tre carabinieri controllavano, lungo i tre lati che non si allontanasse.
Arrivano i rinforzi, mezzora dopo
I rinforzi arriveranno alle 20.15, mezzora dopo il primo contatto. e «venivano impiegati immediatamente nella cinturazione dell’area». Secondo l’annotazione, Igor non poteva essersi allontanato dal boschetto. Lo descrivono vestito con cappello da pescatore verde militare, giaccone e pantaloni di stesso colore, maglione nero e occhiali con lenti scure a coprire il viso. Era armato? «L’uomo non mostrava alcuna arma». E allora, perchè non hanno sparato? la domanda che tanti si sono posti. «Non è stato possibile attingerlo con le armi in dotazione, i militari non erano in alcuna posizione favorevole da potere ottenere risultati senza conseguenze per la loro incolumità: per cui, stante alle disposizioni e alle circostanze, l’unica azione era quella di porre una attenta osservazione in sicurezza». Quattro mesi e mezzo dopo, l’osservazione continua.