Nasce l’Esercito Cyber Italiano: 1.500 unità per difendere il Paese nel nuovo campo di battaglia digitale
Un nuovo dominio da difendere: il cyberspazio
L’Italia si prepara a entrare nel cuore della guerra del futuro. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha annunciato la creazione di un “Esercito Cyber”, una struttura autonoma e altamente specializzata per difendere il dominio digitale, considerato ormai il quinto campo operativo dopo terra, mare, aria e spazio.
“Dovrebbe partire una prima struttura che possa contare su 1.200-1.500 unità, in larga parte operative,” ha spiegato Crosetto, “ma l’obiettivo è arrivare a un organico più ampio, pienamente autonomo, capace di agire con efficacia su tutto lo spettro della minaccia.”
Il progetto prevede una componente civile e militare operativa 24 ore su 24, 7 giorni su 7, 365 giorni l’anno, con il compito di proteggere infrastrutture critiche, reti strategiche e i dati sensibili dello Stato.
Investire nel cyber significa investire nelle persone
E qui nasce la riflessione più pungente. Investire nel cyber non significa solo comprare tecnologia o software d’avanguardia: significa investire nel capitale umano. È lì che si gioca la vera partita.
Un esercito digitale senza competenze solide e valorizzate rischia di diventare un guscio tecnologico vuoto. Le professionalità esistono, ma spesso vengono disperse in una giungla di sprechi e rigidità burocratiche, dove le competenze più preziose finiscono sottoutilizzate o perdute.
Addettanze militari: sprechi, rotazioni e silenzi
Ed è su questo terreno che la Difesa dovrebbe guardare con la stessa attenzione. Al pari dell’investimento nel dominio cyber, andrebbe affrontato anche il tema delle addettanze militari, dove si continua a bruciare capitale umano e risorse economiche.
Da mesi abbiamo chiesto un confronto con il ministro Crosetto, i sottosegretari, il capo di gabinetto e il presidente della Commissione Difesa, Nino Minardo, per discutere lo spreco legato ai mandati triennali anziché quadriennali, come avviene per altri incarichi all’estero.
Un cambio che significherebbe efficienza, continuità e valorizzazione delle competenze, invece del solito meccanismo che ruota le persone prima che possano consolidare esperienze e risultati.
Quando la Difesa tace, il problema non è la stampa
A oggi, però, nessuna risposta.
Ma il problema non è che non si risponda a InfoDifesa: il problema è che non si risponde ai militari, a coloro che da anni segnalano storture, carenze e sprechi.
Lo abbiamo visto con le battaglie sulle pensioni (leggi 81/83), sulla previdenza complementare e ora, ancora una volta, sul valore delle persone dietro le divise.
Il ministero parla di innovazione e modernità, ma senza ascolto non c’è futuro digitale che tenga. Perché la sicurezza del Paese non nasce solo dai firewall o dai sistemi di difesa: nasce da chi li crea, li difende e li vive ogni giorno.
