Carabinieri

Carabinieri alla sbarra prima dei fatti: la paura di agire che sta uccidendo l’Arma

La morte di Tobias Tappeiner, giovane tennista, si è trasformata in inchiesta giudiziaria. La Procura di Bolzano ha aperto un fascicolo e ha iscritto nel registro degli indagati due Carabinieri. Perché? Le telecamere hanno ripreso la presenza di un’auto dell’Arma nei pressi del casello di Bolzano Sud, nello stesso arco temporale in cui il ragazzo è entrato in autostrada e ha percorso i suoi ultimi metri.

E qui scatta il paradosso: si ipotizza che i militari avrebbero potuto o dovuto accorgersi della manovra e fermarla. Una ricostruzione formulata a posteriori, con la lente della Procura puntata su un’azione che, nella realtà, appartiene più al campo delle ipotesi che a quello della fattibilità. Perché prevedere in tempo reale un comportamento improvviso, azzardato, fuori logica resta spesso impossibile. A posteriori tutto appare evidente, ma sul campo il confine tra prevedibile e imprevedibile è sottilissimo.

Gli articoli contestati – 590 bis e 589 del codice penale – parlano di lesioni personali gravi e omicidio colposo in relazione all’obbligo di evitare l’evento. Ma fino a che punto è realistico attribuire responsabilità per un accadimento che si consuma in un lampo e fuori da ogni regola di condotta normale?

La nota ufficiale della Procura mette nero su bianco l’iscrizione dei due militari, definendo il provvedimento “atto dovuto”. Ma quell’atto, reso pubblico, spalanca immediatamente il portone del dibattito mediatico: non più i fatti, non più la tragedia, ma le responsabilità ipotetiche di due uomini dello Stato. Un passaggio che lascia più di un dubbio sull’utilità reale della nota stessa, e che nel frattempo espone l’Arma a una nuova ondata di sospetti e processi anticipati.

Giuseppe La Fortuna: lettera al Comandante Generale

Su questo clima pesante interviene Giuseppe La Fortuna, segretario nazionale USMIA, che in una lettera inviata alla redazione di Infodifesa si rivolge direttamente al Comandante Generale, denunciando la paralisi psicologica che rischia di colpire chi veste la divisa e chiedendo un segnale forte di sostegno istituzionale.

I Carabinieri hanno paura. Paura vera, concreta. Non di affrontare il pericolo in strada, ma di ciò che accade subito dopo. Paura che ogni gesto, ogni ordine, ogni pressione del grilletto – compiuto in una frazione di secondo, sotto il peso del caos – si trasformi in un capo d’accusa incollato addosso ben prima che un giudice si pronunci. Paura che la toga arrivi dopo i titoli di giornale.

Questa è paralisi psicologica e sta diventando sistema. Gli uomini in divisa non si chiedono più soltanto “cosa devo fare per proteggere i cittadini?”, ma anche “cosa mi succederà se lo faccio?”. Una domanda velenosa, che mina l’efficacia operativa, la fiducia e lo spirito stesso dell’Arma.

E mentre i processi veri impiegano anni, quello mediatico si consuma in poche ore. Prima ancora dei fatti, arrivano le sentenze social. Non si discute della drammatica dinamica, delle vittime o delle circostanze impossibili in cui un militare ha dovuto scegliere. No. L’attenzione cade immediatamente sul fascicolo aperto contro chi ha agito. Ne nasce un circolo vizioso: opinione pubblica inferocita, odio riversato online, reputazioni sbriciolate. Ogni volta l’Arma viene trascinata in pasto al sospetto.

Per questo, Comandante Generale, le chiedo di spezzare questa spirale. Nessuno vuole invadere il campo della Magistratura: il rispetto delle regole è imprescindibile. Ma altrettanto imprescindibile è che i nostri Carabinieri non vengano lasciati soli e scoperti davanti a macchine giudiziarie e mediatiche che li divorano senza distinguo. Servono strumenti concreti: assistenza legale immediata, sostegno psicologico saldo, copertura istituzionale chiara e pubblica.

Chi indossa la divisa deve sapere che dietro non c’è soltanto il codice militare, ma soprattutto una Istituzione pronta a difenderlo. Non è una questione di immunità, è una questione di dignità e giustizia. Perché un Carabiniere paralizzato dalla paura di essere travolto dall’“atto dovuto” è un Carabiniere a metà. E un Arma che dubita di sé stessa è un Paese più debole.

Comandante, i Carabinieri chiedono una sola cosa: che lo Stato sia al loro fianco, subito, senza esitazioni.

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