KFOR a Bruxelles: “In Kosovo la vera sicurezza si costruisce con la politica, non con le armi”
Un rapporto finale che suona come un campanello d’allarme
Il generale di divisione Enrico Barduani, comandante della missione NATO in Kosovo (KFOR), ha presentato il suo rapporto finale al Comitato militare della NATO e al Consiglio del Nord Atlantico, entrambi nel formato KFOR, presso il quartier generale della NATO a Bruxelles. Durante il suo intervento, Barduani ha sottolineato che la strada verso una sicurezza sostenibile in Kosovo non è militare, ma politica. Ha evidenziato l’impegno costante e proficuo della KFOR per la stabilità e a sostegno delle azioni diplomatiche, con particolare attenzione al dialogo facilitato dall’UE tra Belgrado e Pristina.
Il generale ha anche sottolineato i risultati ottenuti dalla KFOR, tra cui il rafforzamento della missione attraverso il dispiegamento temporaneo di forze di riserva e l’approfondimento della cooperazione con la comunità internazionale, le organizzazioni per la sicurezza del Kosovo e le Forze armate serbe. Inoltre, ha incontrato il generale Seán Clancy, presidente del Comitato militare dell’UE, con il quale ha discusso della cooperazione della KFOR con le operazioni EULEX ed EUFOR Althea in Bosnia-Erzegovina.
La sostenibilità della missione: costi e benefici
La missione KFOR, attiva dal 1999, ha comportato significativi costi finanziari per i paesi partecipanti. Ad esempio, la sola Germania ha speso circa 3,3 miliardi di euro per la sua partecipazione alla missione, con una spesa annuale di circa 38,9 milioni di euro. L’Italia, pur non avendo cifre ufficiali disponibili, ha un contingente significativo e una presenza consolidata sul terreno.
Tuttavia, nonostante questi investimenti, la missione ha ottenuto risultati contrastanti. Se da un lato ha contribuito a mantenere la pace e la stabilità nella regione, dall’altro non ha sempre raggiunto gli obiettivi politici e istituzionali prefissati. La mancanza di progressi significativi nel rafforzamento delle istituzioni locali e nella promozione del dialogo tra le diverse comunità etniche rimane una preoccupazione.
Il rischio di un vuoto di sicurezza
Un elemento importante emerso dal rapporto di Barduani è la necessità di una transizione verso una sicurezza sostenibile, che non dipenda esclusivamente dalla presenza militare internazionale. Questo implica un rafforzamento delle capacità locali e una maggiore partecipazione delle istituzioni kosovare nel garantire la sicurezza e la stabilità.
Tuttavia, se gli Stati Uniti, con il loro significativo peso all’interno della NATO, dovessero decidere di ritirarsi improvvisamente dalla missione, il risultato potrebbe essere devastante. La KFOR, pur essendo una missione multinazionale, ha beneficiato della leadership e delle risorse statunitensi. Un ritiro degli USA potrebbe lasciare un vuoto di sicurezza difficile da colmare, con il rischio di un’escalation delle tensioni etniche e di un ritorno alla violenza.
La strada da percorrere
Il generale Barduani ha concluso il suo intervento sottolineando che la strada verso una sicurezza sostenibile in Kosovo non è militare, ma politica. Questo implica un impegno continuo nella promozione del dialogo, nel rafforzamento delle istituzioni locali e nella costruzione di una pace duratura basata sulla cooperazione e sul rispetto reciproco.
Tuttavia, come evidenziato nel rapporto, la mancanza di progressi significativi in queste aree solleva interrogativi sulla sostenibilità a lungo termine della missione. Se non si riuscirà a colmare il divario tra gli obiettivi militari e quelli politici, il rischio è che la missione KFOR diventi un esercizio simbolico, incapace di garantire una pace duratura nella regione.
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