Difesa

Lo scontro Salvini-Crosetto svela la fragilità della difesa nazionale

Due visioni inconciliabili

L’Italia si trova oggi al centro di una crisi politico-strategica che va ben oltre le dinamiche di governo. Da una parte c’è Matteo Salvini, che con la sua idea di “Fortezza Italia” ridisegna la sicurezza nazionale in chiave interna, fatta di confini da blindare, immigrazione da contenere e infrastrutture da proteggere. Dall’altra Guido Crosetto, ministro della Difesa e uomo di fiducia dei vertici militari, che parla di “realismo strategico” e invoca un rafforzamento serio dell’apparato difensivo, senza sconti né scorciatoie. Due linee che non solo divergono, ma si annullano a vicenda, rivelando tutta la fragilità di un Paese che sembra incapace di decidere come difendersi.

Salvini e la sicurezza sovranista

Il leader della Lega non crede che l’Italia debba prepararsi a un conflitto convenzionale con potenze straniere. A suo giudizio, il vero nemico è ibrido: immigrazione irregolare, terrorismo, criminalità organizzata. Per questo propone il ritorno a una leva universale di sei mesi, più simile a un’esperienza di protezione civile che a un addestramento militare vero e proprio. La sua è una visione sovranista e populista, che ridimensiona le spese per armamenti e sposta risorse verso cittadini e opere pubbliche. Non è un caso che abbia provato a inserire persino il Ponte sullo Stretto di Messina come “spesa NATO”, trasformando un progetto civile in una presunta infrastruttura strategica. Un colpo di teatro, più che una strategia.

Crosetto e la realtà militare

Crosetto non ha dubbi: l’Italia è oggi del tutto impreparata ad affrontare una guerra convenzionale. Le scorte di munizioni basterebbero appena 48-72 ore, gran parte degli arsenali è stata svuotata per sostenere l’Ucraina e la produzione industriale non riesce a colmare i vuoti. Mancano migliaia di uomini e donne nelle Forze Armate, i carri armati sono obsoleti, i sistemi antimissile non sono operativi, la difesa aerea è incompleta. Il ministro rifiuta categoricamente l’idea di un ritorno alla leva, che giudica inefficace e fuori tempo massimo: oggi servono professionisti altamente formati, capaci di muoversi in scenari multidominio e integrati nei sistemi NATO. Non è un caso che abbia spinto per raddoppiare la produzione di missili SAMP/T, considerati essenziali per colmare la lacuna più grave, quella della difesa antiaerea e antimissile.

Una fotografia impietosa

Il quadro che emerge è devastante. L’Esercito ha un deficit di oltre 40.000 unità, la Marina di 9.000, con turni operativi al limite della sostenibilità. Le procedure di procurement sono lente, frammentate, ingessate dalla burocrazia: i tempi medi per avere nuove munizioni si misurano in anni, non in mesi. La modernizzazione della flotta, dei sistemi missilistici e dei mezzi corazzati procede a rilento. L’Italia, insomma, si presenta come un Paese vulnerabile, incapace di sostenere un conflitto anche di breve durata, e questo mina non solo la propria sicurezza, ma la stessa credibilità all’interno della NATO.

La pressione degli alleati

A peggiorare la situazione c’è la pressione crescente degli Stati Uniti e dell’Alleanza Atlantica. Dal 2014 Roma si è impegnata a portare le spese militari al 2% del PIL, ma la realtà è ben distante dall’obiettivo. Washington spinge addirittura verso il 5%, che significherebbe destinare oltre 100 miliardi di euro all’anno alla difesa: un traguardo semplicemente irrealistico. Di fronte a questi numeri, il governo italiano tenta la strada della “contabilità creativa”, inserendo opere civili nella spesa militare. Ma questi stratagemmi rischiano di apparire ridicoli agli occhi degli alleati, già irritati dalla lentezza con cui Roma prende decisioni operative.

Modernizzazione appesa a un filo

I vertici militari, prima con l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e oggi con il generale Luciano Portolano, hanno delineato piani ambiziosi: un esercito professionale di 160.000 unità, una riserva di 35.000, il rafforzamento della flotta F-35, nuovi droni e sistemi missilistici avanzati. Ma senza finanziamenti certi e stabili, tutto resta sulla carta. La paralisi politica rischia di trasformare queste ambizioni in slogan vuoti, lasciando l’Italia inchiodata a una debolezza strutturale.

Un Paese a un bivio

Lo scontro tra Salvini e Crosetto non è quindi una semplice diatriba interna al governo, ma il sintomo di una crisi strategica che mette a rischio la tenuta del sistema Paese. Da una parte il sovranismo populista, che trasforma la sicurezza in un esercizio di propaganda; dall’altra il realismo militare, che denuncia una vulnerabilità profonda e chiede investimenti concreti. Nel mezzo, un’Italia che non sceglie e rimane sospesa, incapace di dotarsi di una visione chiara.

Senza una svolta netta, con un consenso nazionale sulla difesa, fondi strutturali dedicati e una riforma del reclutamento e del procurement, l’Italia rischia di restare indifesa in un mondo sempre più instabile. Più che “Fortezza Italia”, un fragile castello di sabbia esposto alla prima onda d’urto.


 

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