32 ANNI FA GLI ACCORDI DI OSLO TRA ISRAELE E L’OLP. COSA E’ RIMASTO E IN COSA POSSIAMO SPERARE
Di Col (ris.) della Guardia di Finanza, Dott. Sergio De Santis
GLI ACCORDI DI OSLO
Tra pochi giorni ricorrerà l’anniversario di un famosissimo caso di diplomazia della mediazione, quando la Norvegia svolse il ruolo di mediatrice, facilitando i colloqui segreti e fornendo uno spazio neutrale per i negoziati.
32 anni fa, Il 13 settembre del 1993, a Washington, ci fula stretta di mano, immortalata da una foto passata alla storia, tra il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Yasser Arafat, e l’allora Primo Ministro israeliano, Yitzhak Rabin, con alle spalle un raggiante Bill Clinton, Presidente degli Stati Uniti d’America,garante di un processo che portò agli accordi di pace di Oslo tra Israele e l’OLP, e che fece sperare in una pace tra i due popoli.
UN SOGNO E LA SUA FINE
All’epoca, tutta la comunità internazionale credette che quello storico accordo avrebbe portato la pace tra i due popoli, partendo dal rifiuto palestinese della violenza, per arrivare al reciproco riconoscimento ad esistere – di Israele come stato sovrano accettato dai palestinesi, e dell’ANP come interlocutrice affidabile e riconosciuta a livello internazionale – fino al rilascio dei territori occupati con la “guerra dei sei giorni” del 1967, tra cui la Striscia di Gaza, abbandonata definitivamente dallo stato ebraico nel 2005, secondo un piano di disimpegno unilaterale.
I fautori degli accordi (Yitzhak Rabin, Yasser Arafat e Shimon Peres), furono poi insigniti, nel 1994, del Premio Nobel per la Pace, a dimostrazione dell’entusiasmo e delle aspettative che quella stretta di mano aveva creato nel mondo occidentale ed in quello arabo.
Sappiamo tutti invece come è andata a finire. Subito dopo gli accordi, che dovevano essere preliminari e propedeutici ad altre intese secondo una roadmap di disimpegno militare ed amministrativo israeliano, le parti cominciarono ad irrigidirsi accusandosi reciprocamente di essere venuti meno agli impegni presi. Israele, in particolare, non perdonò mai all’Autorità Palestinese lo scarso impegno ad assicurare una maggiore sicurezzaper i cittadini e le istituzioni ebraiche, continuamente sottoposte a lancio di razzi ed attentati terroristici da parte dei gruppi fondamentalisti, oltre a non riuscire a contenere politicamente le frange più estremiste e violente all’interno della società palestinese, come ad esempio Hamas. Queste incomprensioni emersero definitivamente con il fallimento dei negoziati di Camp David del 2000, con il Presidente Clinton a fare da mediatore tra Arafat ed il premier israeliano Ehud Barak.
SI PUO’ SPERARE ANCORA IN UN NUOVO PROCESSO DI PACE?
Tornando ad Hamas, questa non ha mai fatto mistero non solo di aver rifiutato gli accordi di Oslo, ma anche di non riconoscere lo Stato di Israele, di cui anela la distruzione fisica secondo il proprio statuto del 1988 (“Israele…rimarrà in esistenza finché l’islam non lo ponga nel nulla, così come ha posto nel nulla altri che furono prima di lui”; “L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno”; “Non c’è soluzione per il problema palestinese se non il jihad. Quanto alle iniziative e conferenze internazionali, sono perdite di tempo e giochi da bambini…; “Di fronte all’usurpazione della Palestina da parte degli ebrei, dobbiamo innalzare la bandiera del jihad”).
Hamas purtroppo (purtroppo per la pace, essendo considerata entità terroristica dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea e quindi assolutamente inidonea a rappresentare gli interessi del popolo palestinese) vinse le elezioni del 2006 con un programma incentrato su una società non più laica, ma islamica estremista e contro la corruzione radicata nella leadership dell’ANP. Ma se ancora qualche timida speranza di riportare gli attuali leader (Abu Mazen per l’ANP, e Netanyahu per Israele) ad un tavolo delle trattative era anche solo lontanamente ipotizzabile, questa speranza è stata di fatto spazzata via il 7 ottobre 2023, con l’eccidio di migliaia di civili innocenti ed il rapimento di altre centinaia, quasi tutti morti in prigionia. Questo, con la successiva guerra dichiarata da Israele non all’ANP, si badi bene, ma solamente ad Hamas – che ha rifiutato il rilascio degli ostaggi – al momento non permette di poter parlare di nessun accordo di pace.
Solo il futuro ci dirà se al termine del conflitto, con Hamas fuori gioco e con l’aiuto fondamentale della Lega Araba, fondamentale per il processo di normalizzazione, Israele e ANP potranno riprendere un percorso di pace problematico, incerto, ma in fondo ineluttabile.
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