Carabiniere ubriaco, ostacola un controllo e risulta positivo alla cocaina, il Tar: «Incompatibile con l’Arma»
(di Avv. Umberto Lanzo)
VENEZIA – Non una semplice vicenda disciplinare, ma un caso che tocca il cuore stesso dell’etica militare e del rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini. Con sentenza depositata il 26 marzo 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto ha respinto il ricorso di un appuntato scelto dell’Arma dei Carabinieri, confermando la rimozione dal grado per gravi condotte incompatibili con lo status di militare.
L’episodio che ha innescato il terremoto disciplinare
Tutto inizia in una notte del 2022, quando l’appuntato, in abiti civili e fuori servizio, interviene in un controllo stradale condotto da una pattuglia del Nucleo Radiomobile. Non come supporto, ma come ostacolo. Ubriaco, con occhi arrossati, alito alcolico, difficoltà nel parlare e comprendere, l’uomo disturba le operazioni, si intromette nel fermo di un soggetto pregiudicato e ingaggia un alterco acceso davanti ai colleghi e al controllato stesso, che non manca di sottolineare come “un carabiniere fosse ubriaco”. Segue verbale di contestazione per ubriachezza manifesta ai sensi dell’art. 688 c.p.
Non era la prima volta: già in passato il militare era stato sanzionato per episodi simili e per violazione delle norme anti-Covid. L’Arma, allarmata dalla recidiva, decide di andare a fondo.
La prova tossicologica e il peso di un metabolita
Il Comando Legione Carabinieri Veneto dispone accertamenti sanitari. All’Azienda Ospedaliera un’analisi su campione pilifero individua cocaina e il suo metabolita, benzoilecgonina. Un dato che il successivo supplemento istruttorio definisce inequivocabile: «la positività, pur sotto il cut-off, non è frutto di contaminazione ambientale ma di assunzione attiva». Il “cut-off”, soglia tecnica per distinguere tossicodipendenza da consumo occasionale, non basta a salvare il carabiniere. Per l’Amministrazione, anche una sola assunzione mina irrimediabilmente la credibilità di chi ha giurato di combattere proprio quei reati.
L’inchiesta disciplinare e la caduta definitiva
Si apre così un’inchiesta formale. L’ufficiale inquirente, ricostruiti i fatti e valutate le memorie difensive, conclude che l’episodio di ubriachezza in luogo pubblico e la positività alla cocaina hanno arrecato grave nocumento all’immagine dell’Arma. La commissione di disciplina conferma: il militare non è meritevole di conservare il grado.
Il Ministero della Difesa, investito della vicenda, respinge ogni tentativo del ricorrente di ribaltare l’esito, anche quando quest’ultimo produce un referto “negativo” dell’Azienda ULSS n. 6 Euganea. Il supplemento dell’Infermeria del Comando Legione spiega: campioni diversi, tempi diversi, matrici diverse. L’esito negativo successivo non annulla la positività iniziale. La rimozione diventa definitiva.
Il ricorso e la difesa respinta dal TAR
Il carabiniere non si arrende. Davanti al TAR Veneto parla di accertamenti sproporzionati, lesivi della libertà personale, basati su un’interpretazione errata dei dati scientifici. Sostiene che il valore sotto il cut-off non dovrebbe pregiudicare la fiducia dell’Amministrazione, che l’episodio di ubriachezza non giustificava controlli per droga, che la sanzione è sproporzionata.
I giudici amministrativi demoliscono, punto per punto, queste argomentazioni. Il cut-off, scrive il Collegio, non è un limite legale ma un parametro tecnico per distinguere dipendenza da consumo occasionale; la presenza del metabolita della cocaina prova un’assunzione attiva, incompatibile con lo status di carabiniere. Né l’episodio alcolico può essere considerato isolato, data la recidiva. La sanzione è proporzionata alla gravità della condotta e al discredito arrecato all’Arma.
Un principio ribadito: la fiducia è il fondamento della divisa
La sentenza va oltre il singolo caso, riaffermando un principio chiave: per chi indossa una divisa, anche un solo episodio di consumo di stupefacenti recide il rapporto fiduciario con l’istituzione. Non serve la tossicodipendenza conclamata, basta il tradimento di quell’impegno di legalità che la divisa rappresenta.
Il TAR, dunque, respinge il ricorso, conferma la rimozione e condanna il ricorrente alle spese processuali per € 1.500. Un epilogo che chiude la vicenda giudiziaria, ma che lascia aperta una riflessione: quanto può pesare, per un’istituzione che chiede integrità assoluta, anche un solo momento di debolezza? E quanto è necessario essere inflessibili per non incrinare l’immagine della legge stessa?
In tempi in cui la fiducia nelle Forze dell’Ordine è bene prezioso e fragile, questa sentenza segna un confine netto: la divisa non ammette zone grigie.
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