“Non è un semplice rientro in patria, è un trasferimento”. Il TAR condanna la Difesa a riconoscere l’indennità a un ufficiale rientrato dall’estero
(di Avv. Umberto Lanzo)
Una storia di trasferimenti, leggi ignorate e diritti negati
Dal cuore della Turchia a Lago Patria, passando per un cavillo giuridico che ha fatto perdere un’indennità dovuta. È quanto accaduto a un Maggiore dell’Esercito Italiano, protagonista di una vicenda kafkiana che intreccia diritto militare, interpretazioni amministrative discutibili e una lotta per il riconoscimento economico di un trasferimento d’autorità sancito da atti formali e, oggi, anche da una sentenza di giustizia amministrativa.
La vicenda: un trasferimento non riconosciuto
Il ricorrente, ufficiale in servizio permanente, aveva prestato servizio fino al 2014 a Solbiate Olona, in Lombardia, prima di essere trasferito all’estero, a Izmir (Turchia), come Staff Officer presso un comando NATO. Nel 2018, il rientro in Italia non ha previsto il ritorno alla sede originaria, bensì un trasferimento presso Lago Patria – Giugliano in Campania (NA).
Una movimentazione netta, definitiva, disposta d’autorità, che – secondo la legge 29 marzo 2001, n. 86 – avrebbe dovuto comportare la corresponsione dell’indennità di trasferimento, prevista proprio per questi casi. E invece no.
La nota che nega il diritto e il ricorso
Con una nota datata 3 marzo 2022, il Quartier Generale Italiano presso l’Allied Joint Force Command HQ Naples ha negato l’indennità, assimilando il trasferimento a un generico “rientro in Italia” e invocando una disposizione normativa abrogata dal 2014 (l’ex comma 4 dell’art. 1, L. 86/2001). Una tesi giuridicamente fragile, che ha ignorato il cambio di sede definitivo.
Il Maggiore ha così presentato ricorso per ottenere l’annullamento del provvedimento, il riconoscimento del diritto soggettivo all’indennità e la condanna al pagamento di quanto dovuto, oltre a interessi e rivalutazione.
Disparità di trattamento e disagi economici
A rendere la vicenda ancora più emblematica è l’evidente disparità di trattamento rispetto ad altri militari in analoghe condizioni, ai quali l’indennità è stata riconosciuta e che su infodifesa abbiamo documentato in anteprima (leggi qui). Il ricorrente, infatti, ha sostenuto oneri concreti: dal pagamento di un mutuo per la casa lasciata a Solbiate Olona, al trasferimento della residenza e alla richiesta di un alloggio di servizio in Campania. Inoltre, per esigenze familiari (la moglie è rimasta al Nord), è costretto a viaggiare frequentemente, affrontando ulteriori spese.
La funzione sociale ed economica dell’indennità – nata per compensare i disagi imposti dai trasferimenti d’autorità – è stata completamente disattesa.
ll TAR ribalta la decisione
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sezione Ottava – ha accolto il ricorso e annullato la nota del 3 marzo 2022. Stando alla sentenza:
“Il trasferimento d’autorità presso una diversa sede ubicata in altro Comune e distante più di dieci chilometri dalla precedente integra i presupposti che giustificano la corresponsione dell’indennità…”
Un passaggio determinante, perché mette ordine nel contrasto tra vecchia e nuova normativa: se il comma 4 è stato abrogato, diventa automatico il richiamo al comma 1, che riconosce il beneficio in caso di cambio definitivo di sede.
In particolare, è stato chiarito che:
- Il trasferimento a Lago Patria – Giugliano non può essere considerato un semplice “rientro in Italia”;
- L’Amministrazione ha erroneamente escluso il diritto all’indennità ignorando il cambio di sede definitivo;
- L’indennità spetta, poiché il trasferimento ha comportato disagi oggettivi e permanenti, come previsto dalla legge.
Una lezione di diritto amministrativo
Siamo ancora una volta di fronte ad una gestione amministrativa che ha usato norme abrogate per negare diritti economici fondamentali a chi serve lo Stato. È una lezione di diritto amministrativo, ma anche una denuncia sociale: troppe volte il personale militare è trattato come ingranaggio sostituibile, anziché come l’essere umano dietro l’uniforme.
Chi viene trasferito d’autorità non sceglie di spostarsi, lo fa per dovere. E per questo, la legge prevede un risarcimento.
Non è un caso isolato: il TAR ha già smentito gli Stati Maggiori
Quello deciso dal TAR Campania non è un episodio isolato. Una vicenda molto simile si è verificata pochi mesi fa, quando il TAR Lazio ha riconosciuto l’indennità di trasferimento a diversi carabinieri rientrati dalle ambasciate all’estero, che erano stati assegnati a sedi diverse da quelle di origine. Anche in quel caso, l’Amministrazione aveva negato il beneficio economico, e anche in quel caso i giudici hanno fatto chiarezza: quando il trasferimento è definitivo e cambia la sede di servizio, l’indennità è dovuta. Punto.
(Per approfondire: Infodifesa – Svolta del TAR Lazio)
Due casi, due Regioni, due Forze Armate diverse. Ma lo stesso errore da parte dello Stato Maggiore. Possibile che ogni volta serva una sentenza per ricordare il significato della legge?
Basta trafile giudiziarie: i diritti dei militari non possono aspettare una sentenza
A questo punto, è lecito chiedersi fino a quando il Governo intenda tollerare questa gestione arbitraria dei diritti dei militari, che costringe gli interessati a lunghe trafile giudiziarie per vedersi riconosciuto ciò che dovrebbe essere automatico. Gli Stati Maggiori continuano a emettere disposizioni in aperto contrasto con la giurisprudenza. Serve un intervento politico urgente, perché, credeteci, dalle nostre scrivanie passa una realtà preoccupante: telefonate e email di militari che non sanno più se fidarsi delle promesse istituzionali o affidarsi ai tribunali.
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