Esercito, la relazione tra un ufficiale e una militare si trasforma in stalking: profilattici nella posta, lettere oscene e pedinamenti
Quanto può influire l’incontro, giusto o sbagliato, nella vita di ognuno di noi? È quello che mi sono chiesta spesso, praticamente ogni giorno nel mio ultimo anno e mezzo. Mi chiamo Cristina, sono un militare dell’Esercito italiano e la mia storia inizia con quello che, almeno all’apparenza, sembrava l’incontro giusto: una persona presente, disponibile e interessata solo al mio benessere ma rivelatasi decisamente diversa da ciò che era la realtà.
L’INCONTRO FATALE
Era il 2 giugno 2018 quando mi trovavo nella caserma S. Lesa di Remanzacco, un comune in provincia di Udine, per far conoscere a famiglie e ragazzi i mezzi coi quali lavoro da quasi 15 anni. Tra i ragazzi curiosi coi quali mi sono interfacciata quel giorno, accompagnato dal padre, c’era Riccardo, il figlio di colui che ha reso la mia vita un incubo: un Tenente Colonnello, allora Maggiore, facente servizio in quella stessa caserma che dopo pochi mesi riesce a trovarmi sui social, aggiungendomi e dimostrandosi una persona interessante e disponibile. Parlare con lui è gradevole e le chiacchierate non sono più soltanto virtuali ma ci troviamo di persona talvolta per una passeggiata, talvolta per mangiare assieme. Mi dico fortunata: 17 anni di differenza non sono pochi ma raramente nei nostri discorsi si avvertiva il divario di età, perciò il rapporto si stringe e non siamo più dei semplici “amici”. Passa il tempo e la consapevolezza che lui ha una compagna e un figlio non mi fa vivere bene perciò non me la sento di continuare e decido, così, di fare un passo indietro e porre fine alla nostra frequentazione.
UNA RELAZIONE PERICOLOSA
Nel settembre 2021 il caso vuole che lui si ripresenti, dopo molti mesi, con il solito mezzo: i social network, infatti gli «sfugge per errore» un like ed è da lì che riprendiamo a parlare e, successivamente, a frequentarci. Il lavoro ci divide fisicamente per quasi 7 mesi, infatti lui parte per una missione all’estero ma le videochiamate quotidiane fanno sì che la distanza venga decisamente assottigliata. Io mi fido e sento di poterlo rendere partecipe delle mie giornate: gli parlo di quella che è la mia vita e dei miei impegni, sa quale palestra frequento e soprattutto a che ora preferisco andarci, sa quali zone di Udine frequento, sa a che ora solitamente faccio passeggiate col mio cane, insomma conosce bene tutte le mie abitudini. Tutto molto naturale fino a quando non ritorna dal Libano. Siamo a settembre 2022 quando inizio a vedere in lui atteggiamenti mai avuti prima: discussioni e agitazioni scatenate da sciocchezze e pazienza persa per niente, sono episodi che mi portano a pensare che lui non sia più l’uomo lucido e mentalmente presente che avevo conosciuto fino ad allora. Il periodo non è dei migliori e, senza la minima pressione da parte mia (anzi!), lui si dice intenzionato a lasciare il tetto familiare col progetto di iniziare una nuova vita accanto a me; io cerco di farlo riflettere, mi sembra poco razionale per fare una scelta d’importanza simile e dopo aver alloggiato qualche notte in caserma, decide di fare ritorno a casa. Nel frattempo le discussioni tra di noi, seppure di poco conto, iniziano ad avere un certo peso e io sento l’esigenza di stare un po’ più sulle mie per valutare al meglio se questa fosse davvero la strada giusta da percorrere.
I PRIMI SEGNALI D’ALLARME
È qui che la mia libertà inizia ad essere messa alla prova: non potevo andare in palestra senza ritrovarmelo puntualmente davanti, andavo appositamente in orari improbabili di giorni per me inusuali, eppure non bastava: dovevo incontrarlo «per caso» ogni giorno. Mi vedevo con un’amica in centro per un caffè? Dovevo chiederle la cortesia di non pubblicare nessuna foto sui social, almeno finché non fossimo andate via, perché sarebbe significato vederlo arrivare in meno di 5 minuti in quello stesso bar, a suo dire, del tutto casualmente.
LA NOTTE DEL TERRORE
Una sera di fine ottobre, tornando a casa poco prima di mezzanotte, decido come sempre di fare col mio cane l’ultima passeggiata prima di andare a dormire, perciò mi dirigo con lui verso il parco dietro casa; sebbene l’illuminazione non sia delle migliori, la zona è sempre stata molto tranquilla e l’orario fa sì che non ci sia nessuno, così lo sguinzaglio e lo lascio correre. Pochi minuti dopo, sento rumori di passi e foglie calpestate intravedendo un’ombra nel buio che si avvicinava; mi agito e richiamo subito il mio cane per rincasare in fretta ma vedo che non mi da ascolto, insisto mentre faccio per andarmene quando dal buio esce lui che senza proferire parola richiama la mia, già altissima, attenzione facendo i classici versi che si fanno per chiamare un animale. Avevo la tachicardia e le gambe che tremavano: non sapevo se sentirmi più arrabbiata o spaventata nel vedere che fosse lui. Torno verso casa a passo svelto mentre lui mi segue, così gli chiedo alterata cosa gli passasse per la testa e come mai non avesse parcheggiato la macchina, come sempre, nei pressi di casa mia. Lui mi invita alla calma e afferma semplicemente che «gli mancavo e sperava tanto di vedermi», senza un contatto né un preavviso. Io non lo riconoscevo più e tutto questo mi faceva avvertire la terribile sensazione che gradualmente, una corda si stesse stringendo attorno a me, limitandomi e costringendomi a cercare una soluzione che mi togliesse da quella situazione: così approfitto e parto per Roma, grazie ad un impiego lavorativo che richiede la mia presenza per circa 6 mesi.
ESCALATION DI VIOLENZA
È proprio mentre sono fuori per lavoro che succedono le cose più strane nella mia casa in Friuli, prima un incendio alle 3 di notte, il 7 febbraio 2023, distrugge la veranda adiacente alla camera da letto dove dormivano mia madre ed il mio cane; poi, un mese dopo, per due giorni consecutivi trovo le gomme della macchina forate intenzionalmente. Fino a quel momento mi dicevo particolarmente sfortunata per una concomitanza di eventi simili, poi inizio a mettere a sistema tutto quello che stavo vivendo e non potevano essere delle semplici coincidenze! Lo contatto dopo mesi di distanze per chiedere se ci fossero state novità nel suo ambito familiare dato che non avevo brutti rapporti con nessuno e dato che stavo vivendo qualcosa a dir poco surreale; gli parlo dell’incendio e delle gomme bucate ma l’unica risposta che meritavo era una valanga di insulti e offese, dette e scritte con tutta la rabbia che poteva, semplicemente per aver osato accostare lui e la sua vita agli eventi che mi vedevano coinvolta. Quattro giorni dopo mi ricontatta per sincerarsi che, nonostante tutto, stessi bene: «caspita un incendio!».
Nonostante il mio risentimento, gli spiego quanto fosse un periodo difficile per me e, ancora una volta, complice l’avvicinarsi del mio compleanno, si offre per supporto e vicinanza. Io continuavo a lavorare a Roma e lui, originario della capitale, coglie ogni occasione per frequentare il centro Italia e rivedermi personalmente. Sembrava quasi possibile un rapporto di amicizia fin quando, in un bar del centro si avvicina a me per baciarmi insistentemente: lo respingo e gli spiego che erano mesi che non intendevo più avere quel tipo di frequentazione con lui, così reagisce nervosamente, inizia piangere, andiamo via tra rinfacci ed insistenti richieste di spiegazioni riguardo una foto a cui lui attribuiva la frequentazione con un’altra persona che io avevo postato poche ora prima che casa mia prendesse fuoco. Qualche giorno più tardi, mia madre agitatissima mi chiama dopo aver rinvenuto nella cassetta della posta una lettera con delle foto prese dal mio profilo instagram, dove c’erano commenti sessisti e persecutori come «OGNI VOLTA CHE TI INCONTRO ho un unico pensiero…ti vorrei fare un sorriso ma tu non mi guardi mai!» accompagnati da un profilattico usato e annodato.
LETTERE DALL’INCUBO
Il rinvenimento di lettere simili, talvolta con immagini di nudo maschile intento a toccarsi ma comunque accompagnate da commenti pesantissimi e profilattici usati, è andato avanti per mesi e controllare la cassetta della posta era diventato un gesto che mettevo in pratica almeno 10 volte al giorno. Il semplice uscire o tornare a casa era per me fonte di paura e stress: ovunque andassi, a qualsiasi ora del giorno (perché di sera non uscivo neanche più), mi sentivo osservata e sapere che il mio nemico mi vedesse per strada mentre io non avevo nemmeno la certezza di conoscere il suo aspetto, mi faceva tremare al solo pensiero. Ho passato mesi a guardarmi le spalle continuamente (abitudine che mi è tristemente rimasta), ho smesso di frequentare la palestra e i luoghi pubblici, rinchiudendomi in casa del mio attuale fidanzato, perché nemmeno la mia casa era più un posto sicuro. Ora sono mesi che frequento una psicoterapeuta che, col supporto di uno psichiatra, mi aiutano ad uscire da quello che considero un inferno, affinché possa semplicemente ritornare alla mia vita ma la strada è ancora lunga e decisamente in salita.
GIUSTIZIA A METÀ
Di fronte ai risultati delle indagini svolte dai Carabinieri di Palmanova che lo incastravano fuori casa mia ogni volta che subivo eventi, non ha potuto negare che si trovasse proprio fuori dalla mia abitazione ma, a suo dire, era solo per «passeggiare e riflettere» in seguito alla nostalgia che avvertiva di me, pur sapendo che fossi a Roma. Lui, residente a 20 minuti d’ auto dalla mia abitazione. Poco è importato alla P.M. se nel suo telefono, fossero state rinvenute immagini satellitari di casa mia, o se circa 6 ore prima che l’incendio si sviluppasse lui traduceva tramite Google translate frasi come «sei un professionista, mi aspetto che porterai a termine il lavoro per i tempi stabiliti» o anche «sto provando a fidarmi di te e tu mi chiedi altri soldi? Ti ho già dato 50 euro!!»; perché circa un mese fa c’è stata l’udienza preliminare che lo ha condannato ad un anno di patteggiamento, per aver ammesso che le lettere (E SOLO LE LETTERE) fossero di sua competenza e negando la sua implicazione per quanto riguarda le gomme e soprattutto l’incendio, nonostante le telecamere e le celle telefoniche confermassero la sua presenza fuori casa mia negli orari specifici in cui avveniva tutto quello che subivo.
RIFLESSIONI AMARE: IL PREZZO DELLA DENUNCIA
Perché raccontare tutto questo? E che conclusione si può trarre da una storia come la mia? Senza voler insegnare nulla a nessuno io direi che la lezione che ho imparato è che non sempre le cose vanno a finire come sei autorizzata a pensare. Ti dicono «denuncia», ti aiutano ad affrontare il momento in cui rompi il vetro e provi ad uscire dalla trappola in cui sei finita. Ti dicono che le leggi sono dalla tua parte, che i comportamenti di lui sono il problema… E poi che succede? Ti ritrovi con una condanna ai minimi termini e pensi: «Ho fatto bene a fare tutto questo?». Ecco. Lo chiedo a voi: ho fatto bene a fare tutto questo? Perché io non ne sono poi così sicura…
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