Capitano registra i superiori ma il Colonnello ordina di non proseguire. Cassazione: La disobbedienza c’è ma non è punibile
(di Avv. Umberto Lanzo)
La Corte di Cassazione ha emesso una significativa pronuncia (Sent. Sez. 1 Num. 33369/2024) in merito alla delicata questione della registrazione audio non autorizzata all’interno di strutture militari, stabilendo principi rilevanti sul bilanciamento tra doveri gerarchici ed esigenze di autotutela.
Il Caso e la Controversia
Al centro della vicenda giudiziaria si trova un Capitano dell’Esercito che, convocato dai superiori per discutere di una relazione di servizio da lui precedentemente inoltrata, aveva deciso di registrare l’incontro con il proprio telefono cellulare. La particolarità del caso risiede nel fatto che la relazione in questione riguardava proprio presunte condotte irregolari dei superiori che lo avevano convocato, in particolare in merito alla gestione degli alloggi militari.
Di fronte al rifiuto del Capitano di interrompere la registrazione, nonostante l’ordine esplicito impartito dal Colonnello presente, si era configurata l’ipotesi di reato di disobbedienza aggravata ai sensi dell’art. 173 del codice penale militare di pace.
L’Iter Processuale
Il Tribunale Militare di Roma aveva inizialmente condannato l’ufficiale a due mesi di reclusione militare, decisione successivamente confermata dalla Corte Militare d’Appello di Roma. Secondo i giudici di merito, l’ordine di interrompere la registrazione era pienamente legittimo, anche alla luce della Circolare n. 2106/2019 dello Stato Maggiore dell’Esercito che vieta le riprese audio all’interno delle infrastrutture militari.
La Conferma in Appello
La Corte Militare d’Appello, con sentenza dell’11 ottobre 2023, ha confermato integralmente la decisione di primo grado, ritenendo dimostrata e non giustificata la condotta di inottemperanza all’ordine. I giudici di secondo grado hanno sottolineato come la convocazione del Capitano fosse avvenuta per esigenze attinenti al servizio, essendo stata motivata dall’inoltro diretto di una relazione al superiore comando senza seguire la procedura gerarchica ordinaria.
Particolarmente significativa è stata la valutazione della Corte d’Appello sulla “conflittualità” pregressa tra l’imputato e i superiori, ritenuta non sufficiente a legittimare la modalità di registrazione dell’incontro.
L’Innovativa Analisi della Cassazione
La Prima Sezione Penale ha sviluppato un’articolata disamina che, pur confermando l’esistenza del reato, ha portato all’annullamento senza rinvio della condanna attraverso un’innovativa applicazione dell’art. 131-bis c.p.
La Sussistenza del Reato
Nel confermare l’integrazione della fattispecie, la Corte ha richiamato la fondamentale ordinanza della Corte Costituzionale n. 39/2001, precisando che la tutela dell’art. 173 c.p.m.p. non riguarda il mero prestigio del superiore, bensì il corretto funzionamento dell’apparato militare.
In questa prospettiva, la Cassazione ha ritenuto che la convocazione per chiarimenti sull’inoltro della relazione di servizio rientrasse nelle legittime attribuzioni dei superiori, escludendo la natura “privata” dell’ordine.
Il Rigetto delle Scriminanti
Particolarmente interessante è l’analisi della scriminante dell’esercizio del diritto, invocata dalla difesa. La Corte, con un ragionamento stringente, ha evidenziato come le esigenze di autotutela, pur legittime, potessero essere soddisfatte con modalità alternative alla registrazione non autorizzata, come la verbalizzazione del dissenso o il rifiuto motivato di rispondere a specifiche domande.
La Svolta: Una Nuova Lettura della Particolare Tenuità nel Diritto Militare
È nella raffinata applicazione dell’art. 131-bis c.p. che la Suprema Corte rivela la sua più significativa innovazione interpretativa. Con un ragionamento articolato e coraggioso, i giudici di legittimità hanno completamente ribaltato l’approccio formalistico dei gradi precedenti, aprendo nuovi orizzonti nella valutazione della tenuità del fatto in ambito militare.
La Cassazione non ha esitato a censurare l’impostazione dei giudici di merito, che avevano ancorato il diniego della causa di non punibilità essenzialmente al grado rivestito dall’imputato. Una visione, questa, troppo rigida e ancorata a stereotipi gerarchici che la Suprema Corte ha elegantemente superato, delineando un percorso interpretativo più sofisticato e aderente alla realtà.
Nel tessuto argomentativo della sentenza emergono tre principi cardine destinati a orientare la futura giurisprudenza. Innanzitutto, nei reati di mera condotta – come quello in esame – la valutazione della tenuità richiede un’analisi prospettica: il giudice deve collocarsi idealmente al momento della condotta e valutare, con un giudizio prognostico ex ante, la potenziale offensività rispetto al bene giuridico tutelato.
Il secondo principio, di particolare finezza giuridica, richiama l’attenzione sulla necessità di una valutazione olistica che abbracci condotta, danno e colpevolezza. Ma è nell’interpretazione di quest’ultimo elemento che la Corte innova: le condizioni soggettive che hanno psicologicamente determinato la commissione del fatto non possono essere ignorate, ma devono essere parte integrante della valutazione complessiva.
Infine – ed è forse questo l’aspetto più rivoluzionario – la Cassazione stabilisce che la tenuità dell’offesa deve essere misurata sul concreto pregiudizio arrecato al servizio. Un principio che suona come un monito contro ogni automatismo basato su mere qualifiche soggettive dell’autore, richiedendo invece un’analisi sostanziale dell’effettivo impatto della condotta sul funzionamento dell’istituzione militare.
L’Elemento Decisivo: La Segretezza della Relazione
Determinante nella valutazione della Corte è stata la circostanza, trascurata nei gradi precedenti, dell’esistenza di profili di segretezza nella relazione di servizio che il Capitano intendeva proteggere. La Suprema Corte ha rilevato come il pregiudizio alla regolarità del servizio fosse stato “assolutamente marginale”, considerando che la mancata verbalizzazione delle dichiarazioni non aveva comportato concrete difficoltà operative.
Le Implicazioni della Pronuncia
La sentenza rappresenta un punto di svolta nell’interpretazione dei reati militari, introducendo un approccio più sostanziale e meno formalistico. La Cassazione suggerisce una lettura evolutiva della disciplina militare, dove il rigore gerarchico deve confrontarsi con le legittime esigenze di tutela individuale, valutando caso per caso la concreta offensività delle condotte.
La decisione offre inoltre preziose indicazioni sull’applicazione dell’art. 131-bis c.p. nei reati militari, suggerendo un’analisi che, superando automatismi e preconcetti, si concentri sull’effettivo disvalore del fatto nel contesto specifico.
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