Esercito

20.000 Tonnellate di veleni nel cuore di Civitavecchia. Rischio ambientale nazionale, venti ufficiali indagati


Un disastro ambientale a marchio militare

Una discarica militare da 20.000 tonnellate di materiali pericolosi, contenenti sostanze chimiche letali come iprite, arsenico e composti clorurati, è finita sotto sequestro a Civitavecchia. Il luogo incriminato è il Centro Chimico di Santa Lucia, formalmente noto come Centro Tecnico Logistico Interforze NBC. A lanciare l’allarme è stata la Procura, che ha avviato una maxi inchiesta nazionale per disastro ambientale.

A rivelarlo è un’inchiesta de La Repubblica, che ha portato alla luce un potenziale caso di inquinamento militare senza precedenti in Italia. Nel registro degli indagati, infatti, figurano ben 20 alti ufficiali dell’Esercito Italiano, accusati di aver sottovalutato gravemente la pericolosità del sito.


Armi chimiche dismesse: il veleno sotto il cemento

All’apparenza sono innocui cilindri di cemento, ma dentro custodiscono una bomba ecologica. Si tratta di fusti contenenti residuati bellici provenienti dagli arsenali dismessi della Prima e Seconda Guerra Mondiale, trattati in passato da reparti specializzati dell’Esercito.

Secondo le ricostruzioni investigative, una volta estratte dagli ordigni chimici dismessi, le sostanze venivano immagazzinate temporaneamente al Centro di Civitavecchia, in attesa di un trattamento definitivo che – di fatto – non è mai arrivato. Col passare del tempo, le barriere di contenimento si sono indebolite, e oggi si teme una possibile dispersione delle sostanze nell’ambiente.


Analisi in corso: il pericolo è nell’aria, nell’acqua, nel suolo

Nel sito militare, situato a pochi chilometri dal centro urbano di Civitavecchia, sono già in corso indagini ambientali approfondite. Squadre di tecnici stanno effettuando rilievi sul terreno, nelle falde acquifere e nell’atmosfera per verificare se vi sia stato rilascio di agenti tossici.

Il sospetto è che l’inadeguata conservazione di queste scorie chimiche militari possa aver causato contaminazioni già in atto. Secondo fonti vicine alla procura, se la presenza di sostanze pericolose nei campioni ambientali dovesse essere confermata, si tratterebbe di uno dei peggiori episodi di inquinamento da residuati bellici in Italia.


L’inchiesta: da Reggio Emilia a Civitavecchia

Le indagini hanno preso le mosse da Reggio Emilia, dove era già aperto un fascicolo relativo allo smaltimento irregolare di munizionamento obsoleto. Da lì, la Procura ha trasmesso gli atti alla magistratura di Civitavecchia, aprendo così un nuovo fronte giudiziario.

Gli ufficiali indagati sono accusati non solo di omessa vigilanza, ma anche di mancato intervento per la messa in sicurezza del sito, nonostante i rischi noti da anni. Il caso apre una questione di responsabilità gravissima all’interno delle strutture di comando delle Forze Armate.


Un’emergenza nazionale insabbiata?

La vicenda del Centro Chimico di Santa Lucia mette a nudo un vuoto inquietante nei controlli ambientali sulle installazioni militari. Una bomba a orologeria lasciata a marcire per anni in una delle aree più delicate del litorale laziale, senza un piano trasparente di smaltimento né bonifica.

Se le sostanze chimiche dovessero aver compromesso le risorse idriche o agricole della zona, gli effetti si estenderebbero ben oltre Civitavecchia, coinvolgendo ecosistemi, comunità locali e la salute pubblica. Una ferita ecologica che rischia di diventare anche una voragine istituzionale.

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