DifesaSenza categoria

TRUPPE ITALIANE IN LIBIA: TUTTI I RISCHI DELL’OPZIONE MILITARE

(di Alberto Negri) – Armiamoci
e partite
, è una frase italiana diventata proverbiale per
stigmatizzare l’atteggiamento di chi si sottrae ai rischi di un’azione da lui
stesso promossa o perorata pur esortando gli altri a intraprenderla.

Risuona nelle orecchie del
benpensante come un ossessivo ritornello di stagione ogni qual volta si decide
un’azione militare.
Armatevi e partite: è questo il
vero motivo per cui vengono adottate decisioni prive di senso, perché
sostanzialmente prive anche di morale, il che significa non conoscere le
situazioni o addirittura occultarle. Ma siccome i nostri politici, pur
ignorando quotidianamente la politica estera, considerata una sorta di ancella
povera delle istituzioni, sono piuttosto abili, sanno sempre come cavarsela e
invocano regolarmente il cappello internazionale per giustificare un intervento
di cui di solito non conoscono la portata sia in termini politici che militari.
Per
questo quando tornano le bare dei soldati, come è avvenuto in Afghanistan e in
Iraq, possono presentarsi senza vergognarsi troppo alle cerimonie che
precipitano il Paese nel lutto nazionale.
Un fastidioso profluvio
di retorica che non aiuta a decidere per il meglio e che fuori dai nostri
confini risulta incomprensibile.
Se si decide di mettere piede
in Libia, naturalmente con la patente dell’Onu, dell’Europa o della Nato (meglio
dell’Onu visto che conduce i negoziati tra le fazioni), bisogna anche sapere cosa ci aspetta. E a maggior ragione visti i
precedenti coloniali in Libia e quanto accaduto nel 2011. Dopo i raid promossi
dalla Francia e della Gran Bretagna, appoggiati dai Cruise americani, anche
l’Italia entrò nella missione: una decisione non di poco conto visto che sei
mesi prima ricevevamo Gheddafi in pompa magna a Roma firmando (con la ratifica
a grande maggioranza del Parlamento) un trattato di cooperazione e sicurezza
che ci impegnava a salvaguardare il regime.
Accettammo allora le decisioni
altrui per non restare ai margini e difendere gli interessi economici ed
energetici ma si trattò comunque di una clamorosa virata della politica estera
italiana in Nordafrica che non è passata inosservata. Ora è sulle intenzioni
del governo italiano che ruotano le polemiche e il dibattito, come al solito
confuso. Il ministro della Difesa
Roberta Pinotti ha fatto sapere che «l’Italia è pronta a guidare in Libia
una coalizione di paesi dell’area, europei e dell’Africa del Nord, per fermare
l’avanzata del Califfato arrivato a 350 chilometri dalle nostre coste».
Queste dichiarazioni dopo
quelle del ministro degli Esteri
Gentiloni vanno soppesate perché si tratta di informazioni importanti
:
ci sarebbe quindi la possibilità di formare una coalizione a guida italiana.
Sarebbe, se risultasse vera, una buona notizia perché vorrebbe dire che questa
volta non siamo al traino di qualcuno e possiamo decidere insieme agli altri
alleati obiettivi e metodi di intervento.

Ma dobbiamo sapere anche
un’altra cosa: una volta messi gli anfibi sul terreno bisogna restarci, e forse
anche a lungo, per stabilizzare la Libia. I
rischi di perdite tra i soldati in scontri e attentati sono alti.
E
sicuramente questi rischi erano inferiori mesi fa, quando da più parti si
invocava un intervento internazionale in Libia. La missione militare comporta
un costo umano, politico ed economico che i Paesi schierati contro Gheddafi nel
2011 non vollero accettare lasciando che il Paese sprofondasse nell’anarchia e
nel caos dove adesso si è infilato il Califfato. Ma proprio di questo oggi si
parla: saldare un conto aperto lasciato in sospeso da altri. Armiamoci e
partite, quindi, sapendo bene però dove si va e a quale prezzo.
Il sole 24ore

Lascia un commento

error: ll Contenuto è protetto