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«POTEVO SALVARE I MARÒ. NON HANNO VOLUTO» LO SFOGO DELL’AMMIRAGLIO IN UN’INTERVISTA

Avevamo
un asso nella manica per tentare di riportare a casa Massimiliano Latorre e
Salvatore Girone. Avevamo la possibilità di sfruttare un uomo, l’ammiraglio di
Squadra Rinaldo Veri, per sottrarre i nostri due marò alle autorità indiane.

Lo
potevamo fare perché Veri, comandante del Centro alto studi per la Difesa, papà
italiano e mamma indiana, è nato a Bombay, dove ha vissuto per 14 anni, e in
quel Paese ha dunque una importante rete di amicizie. Ma i vertici della marina
militare e quelli istituzionali lo hanno ignorato
In occasione della
chiusura dell’anno accademico del Casd e della fine della sua presidenza, Veri
è stato chiaro, spiegando di avere «un rimpianto», cioè di non aver potuto
«mettere a frutto le sue origini» e «contribuire alla causa» attraverso «il
vantaggio inconfutabile di conoscere la realtà sociale, culturale e
relazionale» indiana.
Ammiraglio,
chi ha rifiutato la sua disponibilità?
«L’ho
data un po’ a tutti, ai vertici della Marina e alle istituzioni, ma nessuno mi
ha cercato più di tanto, anche se tutti conoscevano le mie origini».
Com’è
potuto accadere?
«Non
so spiegarmelo. Non mi è stato detto di no, semplicemente non ho ottenuto
risposta».
Ha
offerto subito il suo contributo?
«Appena
hanno fermato Massimiliano e Salvatore non ce n’è stato nemmeno bisogno, perché
conoscevano la mia situazione e mi hanno contattato, ma solo allora. Diedi i
miei consigli e poi il silenzio assoluto. Non ho neanche insistito per non dare
l’idea di avere chissà quale interesse».
I
suoi suggerimenti furono seguiti?
«Non
sono in grado di dire sì o no con certezza, ma ritengo di no. So, però, di aver
proposto il mio aiuto più di una volta nell’arco di questi tre anni e mezzo.
L’ultima nel novembre scorso».
Pensa
che se fosse stato coinvolto le cose sarebbero andate diversamente?
«Ritengo
di sì. Sia all’inizio, sia quando al governo in India è arrivato il premier
Modi. In quel momento, pur non avendo la pretesa di dire che avrei risolto la
situazione, ormai incancrenitasi, avrei potuto facilitare la negoziazione».
Anche
direttamente col premier Modi?
«Diciamo
che avevo delle persone che potevano arrivare a lui, degli amici indiani che
conoscevano Modi e la parte politica a cui appartiene. Avrebbero potuto avere
la loro influenza».
Amici
imprenditori?
«Esatto,
anche perché il background del presidente Modi è di tipo imprenditoriale».
Lei
ha provato a svolgere un ruolo “privatamente”?
«Per
correttezza istituzionale non l’ho fatto».
L’Italia
fa ancora in tempo a sfruttare la sua influenza?
«La
possibilità di successo è calata perché mese dopo mese la situazione si è fatta
più difficile».
Che
idea si è fatto del caso dei due marò?
«Sembra
una risposta molto banale, ma credo sia nato tutto da leggere incomprensioni
dovute a un difetto di comunicazione. Poi queste si sono accumulate, arrivando
a creare una situazione paradossale di totale divergenza che ha portato a
decisioni sbagliate e controverse. Ed è lì che io avrei visto bene la mia
presenza, perché, se avessi dialogato con la controparte indiana, avrei capito,
avrei intuito subito da quale parte si stava sbagliando. Posso dire, senza
alcun tema di smentita, che avrei potuto essere un ottimo facilitatore».

Lu.
Ro.

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