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POLIZIA, TROPPI COMANDI E POCHI AGENTI IN STRADA MA NESSUNO HA IL CORAGGIO DI FARE UNA RIFORMA

(di Emliano Fittipaldi) – Giorni fa, a Ravenna, si sono scontrate due navi mercantili. Se
l’incidente fosse accaduto in qualsiasi altro porto d’Europa si sarebbero
attivate al massimo una o due forze di polizia specializzate. Invece
nell’Adriatico si sono mosse due motovedette della Capitaneria, due motobarche
dei piloti del porto, un natante dei Vigili del Fuoco, una motovedetta della
Guardia di Finanza e un’altra della Polizia di Stato, «oltre» si legge in un
comunicato ufficiale «alcuni mezzi dell’Aviazione militare».

Mancavano, chissà perché, i carabinieri. Che invece un mese
fa si sono distinti stroncando un’organizzazione che trafficava rifiuti in
Liguria. Non hanno lavorato da soli: il reparto specializzato dei Noe è
intervenuto con la Dia di Genova, la questura e la Forestale di La Spezia.
«Sono i carabinieri che hanno collaborato con noi, e non viceversa!» hanno
tenuto a specificare i forestali: «L’unica, vera polizia ambientale e forestale
siamo noi!».

Imitando il Commissario Lo Gatto (reso celebre da Lino Banfi, che nel 1981
faceva a gara con i carabinieri per arrestare Paolo Villaggio, alias “Fracchia
la Belva Umana”), lo scorso 9 dicembre anche i militari di Varese hanno messo
le manette a cinque agenti corrotti: operazione coadiuvata dall’Arma con
l’appoggio della Penitenziaria, la Polizia di Stato e la Guardia di Finanza.

Ecco: quello che succede tra Ravenna e Varese non è l’eccezione, ma la regola. Lo
spreco di uomini e le sovrapposizioni tra corpi sono ormai endemici.
Con il
paradosso che se si denuncia uno spacciatore in flagrante rischiano di arrivare
contemporaneamente quelli dell’antidroga, i carabinieri, la Finanza, la polizia
provinciale, la municipale e, se lo spacciatore è un detenuto in permesso o ai
domiciliari, pure gli uomini della Penitenziaria.

«Serve una riforma radicale», spiega a “l’Espresso” il viceministro
dell’Economia Enrico Morando, da sempre fautore dell’unificazione
delle forze dell’ordine. Finora, però, il governo – a parte chiacchiere e
promesse – ha fatto poco o nulla.
Nell’anno di grazia 2015 l’Italia resta l’unico paese al mondo ad avere
cinque forze dell’ordine a carattere nazionale (la Polizia, i Carabinieri, la
Finanza, la Forestale e la Penitenziaria)
a cui vanno sommati
i Vigili del Fuoco e le Capitanerie di Porto. Alle “sette sorelle”, inoltre,
bisogna aggiungere la polizia municipale e quella provinciale, che vive e lotta
insieme a noi nonostante le Province, dentro cui gli agenti erano incardinati,
siano state soppresse. Ogni corpo ha i suoi comandi, i suoi centri operativi,
le sue caserme, i suoi generali con tre o quattro stellette e ufficiali che
difendono i privilegi.
Sono decenni che esperti e addetti ai lavori chiedono alla politica una
razionalizzazione del comparto sicurezza. Ma senza alcun successo: nonostante
buoni propositi e proclami a profusione, le resistenze degli apparati sono
poderose, e nessuna proposta sistemica è stata mai partorita in Parlamento. Anche
Renzi, lo scorso ottobre, aveva ventilato una sforbiciata, spiegando come fosse
ormai «impensabile avere più corpi che fanno le stesse cose».

Qualcuno, in Consiglio dei ministri, giura a “l’Espresso” che il sogno del
premier sarebbe quello di lasciare in vita solo Polizia e Carabinieri,
(attraverso un accorpamento delle Fiamme Gialle all’Arma e della Penitenziaria
alla Polizia), ma è probabile che gli unici che perderanno l’autonomia saranno
i Forestali: pochi (in tutto meno di 8 mila) e politicamente poco influenti (Cesare
Patrone, comandante in capo dal lontano 2004, è considerato uomo di
centro-destra: fu nominato dall’ex ministro dell’Agricoltura Gianni Alemanno),
entro i prossimi mesi potrebbero finire in un dipartimento specializzato sotto
il Viminale. Altra novità in vista è la creazione di una “Centrale unica di
acquisto”, in modo da evitare sprechi e limitare spese pazze su armamenti,
divise e attrezzature.
Secondo i numeri del ministero dell’Interno i delitti sono calati del 7
percento nell’ultimo anno. Eppure i sondaggi mostrano che gli italiani non si
sentono affatto più sicuri.

Troppo poco, secondo il Sap e il sindacato di settore della Cgil. Che
vorrebbero una rivoluzione assai più incisiva. «Sembra paradossale che lo
diciamo proprio noi. Ma passando da cinque a due polizie nazionali avremmo più
soldi da investire negli stipendi dei nostri agenti, oggi tra i più bassi
d’Europa (1.280 euro è quello d’ingresso, contro i 1.900 della Germania, ndr)
e, soprattutto, più uomini per strada», ragiona Gianni Tonelli, segretario
generale del sindacato autonomo di polizia, che dell’unificazione dei corpi ha
fatto una bandiera. «Su oltre 20 miliardi totali spesi ogni anno, ne potremmo
risparmiare da tre a sei». Evitando la settuplicazione degli apparati
logistici, di sicuro, i risparmi sarebbero enormi. «Inoltre costituendo una
centrale operativa unica potremmo liberare risorse umane per controllare meglio
il territorio: se sommassimo tutti i piantoni d’Italia avremmo un’ottava forza
di polizia, la più numerosa del Paese».
SPRECOPOLI IN DIVISA
Dati alla mano, il 60 per cento degli uomini in divisa, da Cuneo e
Caltanissetta, lavora nell’apparato tecnico-logistico.
Un esercito di
colletti bianchi, segretari e impiegati: ognuna delle “sette sorelle” ha
infatti le sue centrali operative, le sue caserme, gli uffici per le divise,
quello per gli stipendi, il parco automezzi, i suoi apparati e le sue scuole di
formazione. Una duplicazione pletorica che raggiunge, a Firenze, il suo apice:
i 7 mila operatori in città fanno riferimento a 11 centrali diverse, mentre
attorno all’Arno si contano quattro mense intitolate alla polizia, due in cui
possono mangiare solo i carabinieri, una adibita ai pompieri e un’altra
riservata alla municipale. 
A Firenze alcuni comandi sono distanti pochi metri, ma anche a Roma e
Milano le sovrapposizioni sono clamorose: vicino al Duomo si contano una
trentina tra commissariati, caserme dell’Arma, sportelli “amici”, dipartimenti
di pubblica sicurezza e uffici della questura. Lo sperpero regna sovrano anche
all’interno dei singoli corpi: un deputato del Pd, Giuseppe Berretta, ha
scoperto che a Catania la polizia spende quattro milioni per affittare 24
sedi per un totale di 80 mila metri.
«Peccato che ne servano solo 25 mila»,
scrive il democratico in un’interrogazione parlamentare. «Uno spreco di risorse
che fa il paio con lo spreco di uomini impegnati nella vigilanza di troppi
immobili affittati: se si accorpassero tutti gli uffici in un’unica questura
avremmo ben 150 poliziotti in più a disposizione per attività di sicurezza sul
territorio catanese».

In Italia ci sono, attualmente, 1.850 centri di comando della Polizia di Stato,
6.140 dei carabinieri (di cui oltre 4 mila stazioni), oltre a una ventina di
direzioni centrali, a cui vanno aggiunti i distaccamenti della Finanza.
Un’enormità: non è un caso che qualche mese fa una nota della Ragioneria dello
Stato abbia segnalato che i centri di costo della pubblica amministrazione,
passati dai 137 del 2008 ai 251 del 2013, siano esplosi soprattutto a causa del
contributo «del ministero dell’Interno, con un aumento delle prefetture e
l’apertura di centri di costo riguardanti le questure e le direzioni regionali
dei Vigili del Fuoco». Un caos che causa anche strane difformità territoriali:
un rapporto firmato dall’ex commissario alla spending review Piero Giarda
evidenzia, per esempio, che se in Lombardia i carabinieri costano a ogni
abitante 59 euro l’anno, in Molise la cifra schizza a 176 euro, passando per i
150 della Calabria, i 136 del Trentino e i 164 della Sardegna.

GIUNGLA O SICUREZZA? 

Secondo il successore di Giarda, Carlo Cottarelli, una riforma del
comparto sicurezza avrebbe potuto portare a risparmi, nel 2015, di circa 800
milioni di euro, e a regime, dal 2016, di 1,7 miliardi l’anno. I due economisti
non entravano nei dettagli. Ma di certo immaginavano una razionalizzazione
radicale e non i piccoli tagli messi in cantiere dal Viminale, che vuol
chiudere 200 posti di polizia tra cui «la squadra nautica di Riva del Garda e
il gruppo a cavallo di Firenze».
Robetta. Gli spazi per riorganizzare in profondità il sistema, infatti,
sono sterminati. Anche per quanto riguarda la catena di comando della politica,
divisa tra cinque ministeri: se la polizia fa capo al ministero dell’Interno
(così come i carabinieri, ma solo quando fanno ordine pubblico), l’Arma dipende
direttamente dal ministero della Difesa, mentre la Guardia di Finanza da quello
dell’Economia; la Penitenziaria è legata invece al ministero della Giustizia, e
i Forestali prendono ordini da quello delle Politiche agricole. I vertici
dei corpi vedono l’unificazione come il fumo negli occhi perché non vogliono
perdere potere e privilegi
(in primis stipendi che arrivano in molti casi
al tetto di 240 mila euro imposto dal governo l’anno passato), ma anche i
politici non vedono di buon occhio il ridimensionamento dei loro dicasteri: è
un fatto che il ministro della Giustizia Andrea Orlando vuole tenersi ben
stretta la “sua” penitenziaria, e ha già annunciato che «la fusione non è
all’ordine del giorno».
Se i ministeri litigano per le competenze, anche i reparti specializzati
dei vari corpi si pestano i piedi a vicenda. Per legge, in materia di sanità e
contraffazione alimentare, possono infatti intervenire sia i carabinieri dei
Nas sia i Forestali e quelli della Finanza, mentre altri reati del settore
agroalimentare sono contesi dal comando carabinieri Politiche agricole, dal
nucleo operativo della Finanza (specializzata nelle frodi comunitarie) e,
ovviamente, dai forestali, che spesso litigano con quelli del Noe quando si
tratta di indagare sui crimini ambientali. Su cui, però, possono mettere becco
anche gli specialisti della Finanza «con», dice una legge, «una componente
aeronavale preposta».

Persino la difesa dei nostri beni culturali è spacchettata tra più corpi: una
direttiva del 1992 attribuisce ai carabinieri la Tutela del patrimonio
culturale, ma un’altra firmata dall’ex ministro Beppe Pisanu del 2006 prevede
che possa intervenire anche la Finanza, «per quel che concerne» si legge «i
compiti di prevenzione, ricerca e repressione delle violazioni in materia di
demanio e patrimonio pubblico».

Insomma, tutti fanno tutto, spesso senza alcun coordinamento. Una patologia,
anche perché i corpi insistono sullo stesso, identico territorio. In Francia la
Polizia è presente nelle grandi città e la Gendarmeria opera nei piccoli
centri, in Austria, Germania e Inghilterra ogni corpo ha identità e campi
d’intervento ben delineati, da noi trionfano le duplicazioni. Una malattia che
ha contagiato persino i dispositivi antimafia: la nascita della Dia, sulla
carta la nostra Fbi, avrebbe dovuto comportare teoricamente lo scioglimento
degli altri reparti specializzati. Invece polizia, finanza e carabinieri
lavorano sul crimine organizzato come sempre, e tutti vantano una o più unità
antidroga.
ANOMALIA ITALIANA
Finora, a parte l’ipotesi di cancellare i Forestali, il governo non ha
messo sul tavolo nessuna riforma di rilievo.
Eppure Morando,
viceministro dell’Economia, resta ottimista. «La fusione del Corpo Forestale
con la Polizia è solo un primo passo. Di sicuro ci sono i margini per
effettuare riforme importanti, in modo da evitare sovrapposizioni non più
accettabili. Bisogna che, almeno, il territorio venga diviso tra i corpi: dove
c’è una forza di polizia non ce ne deve essere un’altra. In Europa siamo uno
dei Paesi che spende di più, ma in termini di risultati facciamo peggio di
Francia, Germania, Inghilterra e Spagna
: vuol dire che c’è un problema di
organizzazione e struttura del servizio. Le sembra opportuno, per esempio, che
la Guardia di Finanza abbia reparti antisommossa come i Berretti Verdi?».

L’anomalia italiana salta agli occhi analizzando anche gli ultimi dati
Eurostat. Anche se le cronache nazionali raccontano di volanti che restano a
secco di carburante, di uniformi che non bastano per tutti, di magistrati
costretti a fare indagini con un organico falcidiato (ci sono 26 mila agenti di
polizia giudiziaria in meno), siamo in assoluto il Paese della Ue con più
divise sul campo, circa 276 mila.
Un numero che non comprende né la polizia
locale, né l’armata della Penitenziaria e dei vigili del fuoco. Non sono
contributi secondari. Nei lunghi anni di Roberto Maroni al Viminale agli ex
vigili urbani sono stati destinati investimenti enormi, proprio per rafforzarne
il ruolo nel settore della sicurezza: è stato persino finanziato l’acquisto di
un aereo per la municipale di Chieri, nel Bresciano. Salvo poi scoprire
scandali più o meno clamorosi nella gestione dei pizzardoni: il più dirompente
è quello sul Capodanno romano, con l’83,5 per cento degli agenti capitolini che
hanno dato forfait (vedi box).

Come è lontana l’Europa. La Germania e la Francia, più popolose, hanno
rispettivamente meno uomini (243 mila e 206 mila), mentre la Gran Bretagna –
dove le statistiche indicano livelli di sicurezza per noi lunari – ha quasi la
metà dei nostri poliziotti. Così, se in Italia si contano 453 agenti ogni
100mila abitanti, in Francia scendono a 356, in Germania a 300, in Inghilterra
a 259. La Norvegia, addirittura, appena 159. Una classifica confermata anche
dall’altro studio di riferimento del settore, l’“European sourcebook of crime
and criminal justice statistics”, secondo cui in Italia ci sarebbero
addirittura 535 agenti ogni 100mila abitanti.

Certo mafia, camorra e ’ndrangheta sono un cancro tricolore, e ogni nazione ha
le sue peculiarità. Eppure la discrasia tra investimenti e risultati è evidente
in ogni tabella Eurostat: nel 2012 abbiamo speso per i servizi di polizia l’1,2
per cento del Prodotto interno lordo, secondi solo a Spagna e Gran Bretagna. Oltre
18,3 miliardi, a cui vanno aggiunti altri due miliardi per i costi di vigili
del fuoco e Penitenziaria.

Un tesoro sprecato, speso senza attenzione, disperso nei rivoli dei
nostri corpi affamati di autonomia e potere. Così gelosi della loro indipendenza
da non essere riusciti neanche a creare il numero unico di emergenza. Dal 2004
la Ue ha infatti obbligato tutti i Paesi membri a usare il 112, in modo da
smistare rapidamente le telefonate agli agenti più vicini o ai reparti
specializzati. Su 28 nazioni siamo gli unici che non l’hanno ancora
attivato, se non in via sperimentale a Varese, Milano e Brescia
. «Non starò
a guardare la vita dei cittadini italiani messa in pericolo perché il governo
non ha fatto niente», disse nel 2010 il commissario europeo Neelie Kroes,
annunciando la procedura d’infrazione contro l’Italia. Berlusconi prima, Monti
e Letta poi, Renzi oggi hanno continuato a non far nulla. Nonostante in gioco
ci sia la sicurezza dei cittadini e, pure, multe salatissime: se non ci
mettiamo in regola rischiamo di pagare 178.560 euro
. Al giorno.

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