Forze di Polizia

LO STRESS DEL POLIZIOTTO E QUEL “MALEDETTO” TURNO IN QUINTA

È nell’organizzazione del lavoro e del sistema di turnazione, oltreché naturalmente nella tipologia e nella specificità di alcuni servizi, che vanno cercate le principali cause di stress per il personale della Polizia di stato e, ovviamente, per tutti gli operatori delle Forze dell’ordine. Con conseguenze che possono ripercuotersi sull’efficienza dell’attività di polizia e dunque sulla percezione di sicurezza dei cittadini. A finire sotto accusa, in particolare, è il cosiddetto “turno in quinta”, cioè il sistema cadenzato di orari che si sviluppa nell’intero quadrante giornaliero e che prevede un impiego notturno ogni 5 giorni. E’ quanto scrive Massimo Montebove per l’Huffington Post.

È questo uno degli aspetti più interessanti emersi dal convegno nazionale organizzato a Roma il 28 aprile dal Silp-Cgil, dove sono intervenuti anche il Capo della Polizia Alessandro Pansa e la segretaria confederale Cgil Gianna Fracassi. Un seminario di natura scientifica che ha costituito l’occasione, nella Giornata mondiale della salute della sicurezza sul lavoro, per presentare una serie di dati e ricerche che paiono andare in una direzione ineluttabile: “Gli operatori di polizia – ha detto il segretario generale del Silp-Cgil, Daniele Tissone – al momento del reclutamento hanno una resistenza allo stress e alla stabilità emotiva superiore alla popolazione generale, ma a seconda del ruolo ricoperto si trovano poi ad affrontare criticità, come per esempio un incidente stradale, un conflitto a fuoco, uno scontro fisico, eventi legati all’immigrazione e al terrorismo. Situazioni che possono indebolire la resistenza mettendo in pericolo la salute”.

Perché, ovviamente, al di là di turni ed orari, è nella natura del mestiere di poliziotto o carabiniere quello di vivere situazioni difficili e quindi stressanti, diverse da qualsiasi altra tipologia di lavoro. Tra i relatori presenti all’iniziativa che si è svolta al Centro Congressi Frentani, anche il prof. Johannes Siegrist, docente universitario tedesco di fama mondiale che ha elaborato un modello alternativo di stress, basato sulla discrepanza tra l’impegno profuso nel lavoro e le ricompense, materiali e immateriali, che da esso si ottengono. In base a tale modello, lo stress sul lavoro è conseguenza dell’elevato sforzo realizzato in contrapposizione a una ricompensa limitata. Lo stesso Siegrist ha lanciato l’allarme legato allo stress nelle forze di polizia e, in generale, nelle professioni di aiuto, sottolineando come l’Italia, rispetto ad altri paesi europei, debba ancora lavorare molto per la prevenzione e il contrasto di questo fenomeno.

Un’analisi condivisa pure dagli altri relatori – il prof. Nicola Magnavita, il neurologo Sergio Garbarino e il dott. Fabrizio Ciprani – che hanno comunque sottolineato gli sforzi fatti dalla Polizia di stato, soprattutto negli ultimi anni, in materia di benessere del personale. “Anche i suicidi sono in aumento – ha concluso il numero uno dei poliziotti della Cgil – e credo che non si possa continuare a portare avanti una politica dello struzzo che nasconde i problemi. Quali soluzioni, dunque? Nell’immediato occorre incrementare il ricorso dei poliziotti alle cure mediche, ovviamente curando la riservatezza, e separare il profilo sanitario da quello disciplinare, perché chi ha un disagio devi sentirsi libero di poterlo esprimere senza correre il rischio di subire contraccolpi”.

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