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LA MARINA MILITARE IN GUERRA CONTRO LA GUARDIA DI FINANZA PER IL CONTROLLO DELLE OPERAZIONI IN MARE

(di Luca Rocca) – L’avvicendamento
in corso fra le operazioni Mare Nostrum e Triton, la prima di soccorso in mare
degli immigrati, gestita dall’Italia, la seconda di controllo delle frontiere,
che fa capo all’agenzia europea Frontex,
continua a fare fibrillare il rapporto
fra la Marina militare e la Guardia di Finanza
.

Tutto nasce dalla richiesta della Marina di spostare il
centro di coordinamento di Triton dal Comando aeronavale della Finanza di
Pratica di Mare (Roma), al Comando della Squadra navale della marina militare
stessa, collocato a Santa Rosa, sempre nella Capitale.
Nelle scorse settimane sul ministero dell’Interno sarebbero
pervenute pressioni in questo senso, tanto che il Viminale ha chiesto
formalmente a Frontex un parere sulla possibilità che il coordinamento di
Triton passasse alla Marina.
La risposta dell’Agenzia europea, ormai nota, è stata un
secco «niet». Non solo perché Triton, come ufficialmente affermato da Frontex,
«non sostituirà Mare Nostrum» poiché «non è consentito né dal mandato né dalla
disponibilità delle risorse», ma anche perché si tratta di un’operazione di polizia, e come tale non può essere
affidata a una forza militare
.
Di fronte al netto rifiuto posto da Frontex alle richieste
della Marina, il caso, però, rimane aperto, le pressioni continuano, il
ministero dell’Interno è sempre più in imbarazzo. Il 18 novembre scorso,
infatti, di buon mattino, Giovanni Pinto, Direttore centrale dell’immigrazione
e della polizia delle frontiere presso il Viminale, ha fatto visita al Comando
aeronavale della Guardia di finanza di Pratica di Mare. E lo stesso giorno, ma
nel pomeriggio, alti rappresentanti della Marina e delle Fiamme Gialle, si sono
confrontati allo scopo di addivenire a una soluzione.
La Marina militare ha ribadito la sua richiesta di prendere
in mano Triton spostandone il centro operativo a Santa Rosa, ma
contemporaneamente ha invitato la Finanza a far parte dell’operazione
trasferendosi nella loro base.
La risposta delle Guardia di Finanza è stata negativa,
ribadendo appunto che si tratta di un’operazione di polizia ma, comunque, è
stato fatto presente alla Marina che, anche volendo, spostare uomini, mezzi,
banche dati, archivi, ecc, sarebbe costato diverse centinaia di migliaia di euro, cifra non compatibile in un momento del
genere ed addirittura passibile di censura da parte della Corte dei conti
.
A questo punto la Marina si è «raffreddata» e il disaccordo
è rimasto tale. Due giorni dopo, a tornare a Pratica di Mare è stato Klaus
Rosler, direttore della Divisione operazioni di Frontex. Una visita molto
significativa che dimostra come persino l’Europa sia stata in qualche modo
indotta a intervenire per dirimere una «controversia» fra due corpi dello Stato
italiano nata dalla pretesa di una forza militare di prendere il comando di
un’operazione di polizia.
Va sottolineato, inoltre, che tutte le operazioni che hanno
la stessa natura di Triton, come Hermes e Aeneas, avviate da Frontex da sette
anni a questa parte, sono state coordinate da una forza di polizia, cioè la
Guardia di Finanza, sotto la supervisione del ministero dell’Interno. Una
richiesta insolita, dunque, quella della Marina, per più di un motivo.
Triton, come detto, è una missione di controllo delle
frontiere marittime e non di soccorso, tanto è vero che l’operazione targata
Frontex agisce entro le 30 miglia dalle coste italiane, mentre nell’ambito di
Mare Nostrum le navi italiane arrivano a ridosso delle coste libiche per
«intercettare» i clandestini in mare e soccorrerli.
Due missioni di natura completamente differente, dunque, che
vanno svolte, inevitabilmente, da «corpi» differenti. Per il controllo delle frontiere, infatti, non occorrono navi e
cannoni, ma classiche operazioni di polizia giudiziaria che in Italia, in
acqua, svolge ormai solo la Guardia di Finanza (polizia e carabinieri da tempo
non lo fanno quasi più).
D’altronde già all’avvio di Mare Nostrum, subito dopo la
tragedia di Lampedusa dell’ottobre del 2013, che costò la vita a 300 migranti,
le polemiche per il ruolo assunto dalla marina militare nel compito di soccorso
in mare, non furono poche. Il motivo è ovvio: perché, se esiste già
un’efficiente rete Sar nazionale, di «ricerca e soccorso» in mare, che fa capo
alle Capitanerie di Porto, con tecnologia all’avanguardia, mezzi più agili e
sicuramente meno costosi, Mare Nostrum è stata affidata alla marina militare,
con un conseguente aggravio delle spese e una capacità di azione sicuramente
meno snella?
La Fondazione Icsa (Intelligence culture and strategic
analysis), un centro studi di analisi su sicurezza, difesa e intelligence
presieduta dal Generale Leonardo Tricarico, ex Capo di Stato Maggiore
dell’Aeronautica Militare, in un suo report ha sottolineato come anche dando
un’occhiata ai rispettivi siti istituzionali, emerga facilmente la differenza
dei compiti fra l’una e l’altra.
Alla marina militare, infatti, spetta la «difesa marittima
del territorio nazionale», la «partecipazione alle operazioni nazionali e
multinazionali per la gestione delle crisi e la sicurezza internazionale», il
«contrasto ai traffici illeciti», mentre per l’attività di «ricerca e soccorso
in mare», si legge nello studio di Icsa, «può solo essere chiamata a
collaborare in caso di necessità».
Per quanto riguarda la
Capitaneria di Porto, invece, la sua attività principale è proprio «la ricerca
e soccorso in mare».
Nel loro report, infine, gli esperti del centro studi Icsa
si dicono «confidenti, tuttavia, nel fatto che il ministro Roberta Pinotti
saprà rimettere le cose a posto». L’operazione Mare Nostrum, gestita dalla
Marina, è costata 9 milioni di euro al
mese (c’è chi sostiene persino 12)
.

Una spesa enorme, e dunque un flusso smisurato di denaro,
destinato ad esaurirsi con la decisione del Viminale di far morire di morte
quasi naturale una missione controversa.
tratto dal Tempo

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