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GUARDIA COSTIERA E MARINA: INDIETRO TUTTA DEL GOVERNO

(di Gianandrea Gaiani) – Buttiamola lì e vediamo che effetto fa. Il governo
Renzi sembra voler continuare ad annunciare riforme per vedere che reazioni
raccolgono per poi ritirarle, modificarle o annacquarle.

Quest’ultimo termine
risulta particolarmente adatto a spiegare il rapido affondamento della riforma
che avrebbe trasferito la Guardia Costiera sotto il comando della Marina
Militare.
Annunciata due giorni or sono, aveva subito
suscitato l’opposizione di molti gruppi di interesse, ovviamente della stessa
Capitaneria di Porto/Guardia Costiera, di quanti temono la perdita delle
specificità professionali delle CP nonché la reazione decisamente sopra le
righe dei deputati del M5S in rivolta per l’eccessivo potere attribuito al Capo
di stato maggior della Marina e per la militarizzazione dell’Italia.
A nostro avviso si trattava invece di un’ottima idea
che, senza alterare compiti e funzioni, avrebbe ridotto costi di gestione,
sfrondato comandi ed eliminato duplicati dal momento che tutta la parte
logistica, amministrativa e addestrativa degli 11 mila militari della Guardia
Costiera sarebbe stato accorpata con le strutture già esistenti per i 30 mila
effettivi della Marina.
Un’evoluzione logica anche nell’ottica di ridurre i
Corpi dello Stato responsabili delle attività in mare che peraltro metteva
sotto lo stesso vertice uomini e donne che già “nascono marinai” insieme
frequentando gli stessi istituti di formazione e che già lavorano quotidianamente
insieme.
Anche questa volta però il governo “stava scherzando”, o comunque non faceva
sul serio.
Considerate le reazioni corporative e politiche il
governo ha modificato l’emendamento al ddl di riforma della Pubblica
Amministrazione, approvato la notte scorsa dalla commissione Affari
Costituzionali della Camera, che ora prevede solo il “rafforzamento del
coordinamento tra Corpo delle capitanerie di porto e Marina militare, nella
prospettiva di una eventuale maggiore integrazione”.
In pratica la solita aria fritta se si considera che
di “maggiore coordinamento” tra le istituzioni attive nelle acque territoriali
si parla da decenni con risultati deprecabili proprio perché ognuno difende il
suo orticello (e i suoi centri di spesa) e nessun  esecutivo ha il
coraggio di cambiare rotta affrontando reazioni e malumori. Neppure oggi che le
acque di casa (o quelle adiacenti) sono quasi un campo di battaglia.
Il 15 febbraio scorso al termine di un soccorso su
un barcone con 247 migranti, la motovedetta della capitaneria di porto Cp 319 è
stata avvicinato da un piccolo scafo veloce con persone armate a bordo che
intimando l’unità di allontanarsi dal barcone ormai vuoto hanno esploso
raffiche di colpi d’arma da fuoco.
Nessuna reazione da parte dell’unità della
Capitaneria ma in prospettiva il rischio è che in situazioni simili siano
uomini e imbarcazioni italiani a costituire un bersaglio per criminali e
jihadisti. Speriamo che il “rafforzamento del coordinamento” previsto dal
governo sia sufficiente a impedirlo.

Infine il rapido dietro-front del governo
rappresenta un brutto precedente per tutte le riforme e in particolare per
quelle degli apparati militari previste dal Libro Bianco della Difesa che certo
incontreranno non poche resistenze. Destinate a ingigantirsi ulteriormente dopo
quanto accaduto ieri.

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