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FORZA ARMATA, MA SENZA ARMI: IL PARADOSSO DELLA GUARDIA COSTIERA

(di Alberto da
Giussano
) È storia nota. Il 15 febbraio 2015 una motovedetta classe 300
della Guardia Costiera, impegnata nel soccorso a un barcone di migranti a 50
miglia da Tripoli, viene minacciata da uomini armati di kalashnikov a bordo di
un barchino, che intimano ai militari la consegna del barcone dopo il
trasbordo. Ai militari non resta che arrendersi alle minacce degli scafisti.

Il fatto è gravissimo. E ci si chiede perché i militari abbiano
ceduto alle minacce dei delinquenti senza muovere un dito. La risposta arriva
dalle prime agenzie di stampa che lanciano la notizia: le motovedette della
Guardia Costiera non sono armate. Santa verità! Ma non tarda ad arrivare la
rettifica da parte della stessa Guardia
Costiera: la motovedetta è armata, ma i
militari non hanno preso le armi per non mettere in pericolo i migranti che
occupavano la coperta dell’imbarcazione. E questa è a tutt’ora la versione
ufficiale sostenuta dai vertici della Capitanerie di porto. Tuttavia gli
addetti ai lavori sanno che le motovedette non sono armate, ad eccezione dei
pattugliatori d’altura classe 900, gli unici dotati di armamenti di reparto
costituiti da mitragliatrici MG 42, adatte per il fuoco di sbarramento (rimane
però da chiedersi se il personale sia effettivamente addestrato per l’uso di
queste armi in contesti operativi). Le altre unità dispongono generalmente di una
sola pistola di ordinanza, la Berretta calibro 9, un’arma individuale
completamente inutile per rispondere a dei kalashnikov.

Ciò che ora più spaventa è il fatto che il Comando Generale
del Corpo delle Capitanerie di porto cerchi di rimediare assegnando ai suoi
uomini armi senza prevedere dei corsi d’addestramento specifici. Dare armi in
mano a un uomo non significa armarlo. Armare significa in primo luogo formare e
addestrare il personale. Esattamente quello che in tutti questi anni non è
stato fatto. A meno che con addestramento non s’intenda un poligono all’anno
(nei casi più fortunati) con armi di rappresentanza vecchie di settant’anni. Si
potrebbe semmai pensare di imbarcare – in attesa che il corpo si organizzi –
personale armato specializzato della Marina Militare a bordo delle motovedette
della Guardia Costiera impiegate nel Canale di Sicilia.
Rimane comunque aperta la delicata questione dell’armamento
del Corpo. Basta guardarsi attorno. Chi ha mai visto un militare della Guardia
Costiera armato?
Eppure la Guardia Costiera è il braccio operativo del Corpo
delle Capitanerie di porto, che è una Forza Armata a tutti gli effetti, con in
più compiti di Polizia Giudiziaria. Tutti gli altri corpi appartenenti alle
Forze Armate e alle Forze di Polizia sono armati, persino i Vigili Urbani hanno
un’arma in dotazione. Gli uomini della Guardia Costiera, no. Ma c’è di più. Bisogna
sapere infatti che non è la prima volta che i militari della Guardia Costiera
vengono minacciati; anzi, capita spesso, soprattutto nel corso di ispezioni e
sequestri, che vengano aggrediti, vedendosi costretti a richiedere l’aiuto dei
colleghi di altri Corpi per uscirne interi (si veda a tal proposito l’articolo
di Maurizio Gallo qui pubblicato lo scorso venerdì 6 marzo).
Si vocifera poi che alcuni anni fa il Comando Generale delle
Capitanerie di porto abbia avviato un progetto di armamento del personale. E si
vocifera anche che sia stata acquistata una consistente fornitura di pistole
Beretta calibro 9 da assegnare a ogni militare in servizio, ma non è dato
sapere se queste armi esistano davvero e in quale deposito siano lasciate
arrugginire.
Intanto là fuori, in mare, continuano a esserci uomini dello
Stato, che vengono fatti navigare in alto mare, con ogni tempo, fino a
spingersi vicino alle coste della Libia. Sono uomini disarmati che, in
equipaggi di 4 o 5 unità, prendono a bordo decine e decine di migranti,
affamati e spaventati – ma forse anche di terroristi –; e che, sempre in alto
mare, caricano a bordo cadaveri, senza disporre di adeguate protezioni
igienico-sanitarie.
Ciò che certo è che gli uomini della Guardia Costiera
meritano una tutela maggiore. Il loro lavoro ha bisogno del rispetto che
merita.

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