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CHI È ANTONIO PAPPALARDO, IL GENERALE DELLA RIVOLUZIONE TRASH

(di Federcio Marconi) – L’Italia ancora non lo sa, ma tira aria di rivoluzione.Contro i «cialtroni abusivi che occupano le istituzioni». Come ha dimostrato Antonio Pappalardo, generale dei carabinieri in pensione, attraversando le strade della Capitale con le sue “truppe”.

Non c’è da preoccuparsi: si tratta di una rivoluzione pacifica nonostante alla testa ci sia un uomo duro e deciso. Che ha ritentato l’assalto al palazzo dopo la manifestazione in Piazza Montecitorio dell’11 settembre armato di fischietti e megafono.

Ma chi è Antonio Pappalardo? Il generale in pensione è già stato parlamentare, sottosegretario e sindacalista. E ha un colore per ogni stagione: è stato vicino al Partito socialdemocratico, ad Alleanza Nazionale, ai Radicali, al Movimento per le autonomie di Raffaele Lombardo e persino al Movimento dei Forconi, che tra 2012 e 2013 sembrava dovesse stravolgere la politica italiana.

Dal 2016 è il leader del MLI, «che vuole trasformare l’Italia nel Paese della pace», togliendo il potere ai «cialtroni abusivi del Parlamento» per rimetterlo nelle mani «del popolo sovrano». E per lanciare il movimento è diventato un fenomeno dei social network, che inonda quotidianamente di video con cui dispensa lezioni di vita e di scienza, parla di politica. Con toni forti e animo da rivoluzionario, tratti ricorrenti della sua immagine pubblica da quasi trent’anni.

LA RIFORMA DELL’ARMA

Nei primi anni ‘90, in un’Italia colpita dalle picconate di Cossiga e attraversata dalla bufera di Tangentopoli, Pappalardo è un assiduo frequentatore dei salotti televisivi. Difende, da presidente del Cocer (il sindacato delle Forze Armate), la legittimità di una rappresentanza sindacale per i carabinieri, e non solo. Vuole fare dei carabinieri una forza personale di un leader presidenzialista plebiscitato dalle masse. «Oggi contano gli uomini e le idee» afferma il 27 novembre 1991 in un convegno a Grottaferrata, in provincia di Roma «Cosa volete che importi agli italiani se vincerà questo o quel partito? Agli italiani interessa la cultura. E la cultura dei militari, da troppo tempo accantonata, dovrà essere riproposta».

Demolisce la logica dei partiti, ne critica il sistema di potere. Ma da uomo pragmatico ha pronta la soluzione: l’Arma dei Carabinieri. «Siamo stati un baluardo contro il comunismo. Siamo stati in trincea contro il terrorismo. Adesso l’Arma vuole essere baluardo contro la degradazione, siamo la linea difensiva della società degli onesti».

DAL PARLAMENTO AL GOVERNO TECNICO

La notorietà garantitagli dalla presidenza del Cocer lo scaraventa nel mondo della politica. Nell’aprile 1992 viene eletto deputato indipendente nelle liste del Psdi. Fonda un suo movimento politico, Solidarietà democratica, con cui si candida senza successo come sindaco di Pomezia nel marzo 1993.

Si consola della sconfitta grazie a Carlo Azeglio Ciampi, che il 6 maggio lo nomina sottosegretario alle Finanze nel primo governo tecnico della storia repubblicana. Carica che verrà revocata nemmeno due settimane dopo: l’11 maggio il tribunale militare lo condanna a otto mesi di reclusione per una diffamazione ai danni del Comandante generale dell’Arma, Antonio Viesti (la condanna verrà poi annullata dalla Cassazione nel dicembre del 1997, ndr). Ciampi lo invita a dimettersi, lui rifiuta.  Arriveranno altre due richieste di lasciare l’incarico di governo. La prima, il 14 maggio, da parte del deputato leghista Mario Borghezio, durante un’interrogazione parlamentare in cui indica la moglie di Pappalardo come collaboratrice del Sismi, il servizio segreto militare. La seconda, il 22 maggio, direttamente dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro: «Ingoia il rospo e dimettiti».

LA CANDIDATURA AL CAMPIDOGLIO E LE INDAGINI DELLA MAGISTRATURA

I guai non finiscono lì, la politica non porta bene a Pappalardo. Decide di candidarsi nell’autunno del 1993 alle elezioni comunali di Roma con il suo movimento Solidarietà democratica. Ottiene percentuali da prefisso telefonico. La corsa verso il Campidoglio finisce anche nelle carte della Procura di Palmi, che indaga su presunti collegamenti del movimento con la massoneria. A Pappalardo non viene presentato nessun avviso di garanzia e la posizione dell’unico rinviato a giudizio, il candidato di Solidarietà democratica Sallustio Salvemini, verrà archiviata nel 1998. Ad aprile 1994 l’allora tenente colonnello termina la sua esperienza parlamentare. Porta a casa un vitalizio e tanta voglia di fare ancora politica.

SULLE ORME DEL GENERALE DE LORENZO?

A giugno 1994 si candida, ancora una volta senza successo, alle elezioni europee come indipendente nelle liste di Alleanza Nazionale. Decide così di rientrare nei ranghi dell’Arma dei Carabinieri e riprende l’attività nel Cocer.

Tra 1999 e 2000 Pappalardo torna sulle pagine dei giornali.  Fa discutere una sua lettera inviata a tutte le strutture rappresentative dell’Arma, in cui auspica «la fondazione di un nuovo tipo di Stato e di una nuova Europa, che i partiti politici così come sono strutturati, e comunque lontani dai problemi dei cittadini, non riescono più a garantire».  In seguito alla sua pubblicazione, Pappalardo viene sollevato dal Comando del II Regimento Carabinieri di Roma. La lettera del vulcanico colonnello apre una crisi istituzionale con il governo D’Alema. «Un documento gravissimo con dichiarazioni inammissibili» verrà scritto in un comunicato di Palazzo Chigi. «E’ un’istigazione ad attentati contro i poteri dello Stato» dirà Fabio Mussi, allora capogruppo dei Ds. Una proposta degna «del generale De Lorenzo (protagonista del Piano Solo nel 1964, ndr)» affermerà invece Antonio Di Pietro.

CAPO DELLE FORZE ARMATE SICILIANE

Dopo il congedo dall’Arma, nel giugno 2006, Pappalardo riprende l’attività politica. Si candida al Senato alle elezioni politiche del 2008 con il Movimento per le autonomie di Raffaele Lombardo. Non viene eletto ma diviene una sorta di “consigliere militare” del governatore siciliano. Il generale in pensione scrive un disegno di legge, dal titolo «Sistema avanzato di sicurezza per la Regione Sicilia», che presenta al Presidente della Repubblica e a quelli di Camera e Senato. Pappalardo vuole fare della sua Associazione per la sicurezza e la legalità, composta da carabinieri, poliziotti e carabinieri in congedo, «un presidio di legalità». L’obiettivo finale dell’operazione sembra però l’applicazione dell’articolo 31 dello Statuto dell’autonomia siciliana, che avrebbe permesso a Pappalardo di diventare il Capo della polizia e delle forze armate nella Regione.

I TIR, I FORCONI E IL MOVIMENTO LIBERAZIONE ITALIA

Anche questa operazione non ha successo, così come fallimentare è la sua candidatura a sindaco di Palermo alle elezioni del 2011, da cui la sua lista viene esclusa. Con l’inizio dell’anno nuovo Pappalardo torna nuovamente a far parlare di sé: è uno dei volti della “rivolta dei tir” che paralizza il Paese. Si avvicina alla galassia del Movimento dei Forconi, all’interno della quale colloca la sua ultima creatura, il Movimento Liberazione Italia.

LIBERAZIONE O RIVOLUZIONE?

Il Movimento di Pappalardo è salito agli onori della cronaca lo scorso 11 settembre. Il generale ha riunito i simpatizzanti in piazza Montecitorio a Roma e tra grida, applausi e acclamazioni, ha consegnato a un rappresentante delle forze dell’ordine un atto di diffida al Presidente della Repubblica: «Mattarella deve sciogliere questo parlamento abusivo».

Ne ha per tutti, dal Pd a Napolitano, dal M5s agli esponenti del governo. E anche per questo riunisce intorno a sé un universo complesso: dagli indipendentisti di tutta Italia ai nostalgici del fascismo, dai complottisti agli esasperati. Passando pefino per i templari: «Il generale Pappalardo è l’uomo di cui l’Italia ha bisogno» dice uno di loro, avvolto in una palandrana crociata, in un video sui social network.

Il nuovo appuntamento per la rivolta di popolo è stato a piazza Montecitorio dove erano previste «almeno 100mila persone», come ha scritto Pappalardo su Facebook. L’obiettivo? è mandare a casa i politici abusivi: «Li cacceremo via, parola di generale dei carabinieri. Viva l’Italia!». In realtà si sono trovati in qualche decina per chiede lo scioglimento del Parlamento. «Attenzione! In queste circostanze deve prevalere il momento del dialogo» ha detto Pappalardo al megafono. «Noi non siamo venuti qui per spaccare ma per vincere una grande battaglia di legalità. E allora ho dato notizia al responsabile della sicurezza pubblica della decisione del popolo sovrano di fare eseguire la sentenza nei confronti degli abusivi. Noi non ce ne andiamo di qui fino a che la sentenza non venga eseguita». (L’Espresso)

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