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CARABINIERI: UFFICIALE “RIMPROVERATO” PER AVER LETTO AI PROPRI MILITARI IL DECRETO DI PERQUISIZIONE IN ATTO PRESSO IL COMANDO COMPAGNIA

La sentenza 441 del 2016 del T.A.R. del Molise accoglie il ricorso di un ufficiale dell’Arma sanzionato disciplinarmente per aver letto il decreto ai propri militari il decreto di perquisizione della DDA in atto presso il suo Comando. Ecco lo stralcio della sentenza.

Il ricorrente, ufficiale comandante della Compagnia Carabinieri di -OMISSIS-, a seguito di una perquisizione giudiziaria ordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) -OMISSIS- presso gli uffici del suo Comando, per presunte interferenze sull’operato del medesimo ufficiale ricorrente, impegnato in una delicata indagine di p. g. – denominata “-OMISSIS-” – riceveva una contestazione di addebito disciplinare di “comportamento irrituale”, in data -OMISSIS-, con invito a fornire controdeduzioni, per aver tenuto una riunione con i militari dipendenti del Comando e aver letto in quell’occasione il decreto di perquisizione, il cui contenuto peraltro era già stato pubblicato dai giornali locali. Rassegnate le proprie giustificazioni difensive, il medesimo nondimeno subiva la sanzione disciplinare del “rimprovero” da parte del Comando Provinciale di -OMISSIS-. Contestata in sede gerarchica, la sanzione veniva confermata dal Comando Interregionale di Napoli.

Il ricorso è fondato.

La condotta contestata al ricorrente come comportamento irrituale non integra in alcun modo una violazione disciplinare.

La lettura – in un’apposita riunione del personale convocata dal ricorrente nel suo Comando – del decreto di perquisizione della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) -OMISSIS-, a quanto consta, è stata data omettendo i nomi degli indagati, quindi ponendo attenzione ai profili di tutela della riservatezza dei dati sensibili. Che vi fosse un decreto di perquisizione era noto a tutti. Il contenuto del provvedimento giudiziario, peraltro, era già stato pubblicato dai giornali locali. Non vi è stata, dunque, nel caso di specie alcuna violazione del segreto o della riservatezza.

La decisione di convocare una riunione del personale del Comando Compagnia Carabinieri di -OMISSIS- è stata assunta dal ricorrente, nella sua qualità di Comandante della Compagnia medesima, per stemperare le tensioni emotive insorte a seguito di una perquisizione di polizia giudiziaria negli uffici del Comando. Si trattava di rasserenare gli animi dei dipendenti del Comando, collaboratori del ricorrente ufficiale dei Carabinieri, turbati dall’episodio della perquisizione e dal clamore mediatico che esso aveva suscitato. Si trattava, altresì, di spiegare che l’indagine giudiziaria non delegittimava l’operato del Comando di Compagnia, poiché non coinvolgeva minimamente il personale del detto Comando, sì da indurre il medesimo a tornare alle proprie occupazioni senza ulteriori indugi e preoccupazioni.

La difesa erariale sostiene che il decreto di perquisizione della DDA -OMISSIS- avesse a oggetto il sequestro di documentazione utile per verificare se vi fossero vizi o illiceità in eventuali procedure di trasferimento disposte dal Comando Generale dell’Arma. In realtà, la detta perquisizione giudiziaria mirava ad acquisire prove proprio su possibili pressioni mediatiche o politiche intese a ottenere la rimozione o il trasferimento del ricorrente dal suo Comando, ovvero l’allontanamento dalle delicate indagini che il medesimo conduceva in quel periodo, in qualità di ufficiale di polizia giudiziaria. Nelle prospettazioni investigative della DDA, il ricorrente era considerato una potenziale vittima di pressioni psicologiche provenienti dagli stessi vertici gerarchici dell’Arma, ovvero da ambienti politici esterni all’Arma.

La sanzione disciplinare del rimprovero scritto, inflitta a un ufficiale dei Carabinieri, ai sensi dell’art. 14, l. 11 luglio 1978, n. 382, presupporrebbe una violazione dei doveri della disciplina militare. Nel caso di specie, l’addebito contestato al ricorrente è quello di aver dato pubblica lettura di un atto di p. g., ponendo in essere un comportamento irrituale, estraneo ai suoi doveri di ufficiale. La motivazione è apodittica, poiché non spiega quale sia la ritualità a cui il comportamento censurato avrebbe derogato, né spiega quali siano i doveri de quibus.

Da una lettura integrata degli atti del Comando Provinciale dei Carabinieri, si comprende che la violazione contestata consisterebbe nell’aver rivelato notizie sottoposte a segreto, nonché nell’aver espresso pubblicamente il proprio pensiero su fatti riservati riguardanti il servizio, in assenza della prevista autorizzazione.

Sennonché, ripetere in una riunione ciò che è stato già scritto dai giornali ed è ormai di pubblico dominio non può in alcun modo integrare una rivelazione di segreto. La rivelazione consisterebbe nel “togliere il velo”, non nel ripetere ciò che è già svelato ed è ormai notorio. Né vi è prova alcuna – stando alla lettura degli atti istruttori – della circostanza che il ricorrente, nella riunione con il personale del suo Comando, sia andato oltre la mera informativa sui fatti, esprimendo un “pensiero personale” sui fatti medesimi, a meno di non considerare tale l’invito alla calma e le rassicurazioni rivolte dall’ufficiale ai suoi subordinati, in detta occasione.

La spiegazione dell’addebito è altresì affidata al contenuto (non meglio esplicitato) della disciplina di riferimento citata nell’atto di addebito disciplinare, vale a dire l’art. 9 della legge n. 382/1978, gli artt. 10, 19, 21, 33 del R.D.M., nonché i numeri 417-422 del R.G.A., nei quali vi è cenno ai limiti di manifestazione del pensiero di un Carabiniere, ai doveri attinenti al grado, alla tutela del segreto, al riserbo sulle questioni militari, agli speciali doveri dei superiori.

Nessuna di tali norme o disposizioni sembrerebbe violata dalla condotta tenuta dal ricorrente. Quantomeno, si può ritenere che l’autorità irrogante la sanzione non abbia saputo esplicitare quale sia stata, nel concreto, la disposizione violata. Ciò integra di per sé il difetto di motivazione del provvedimento.

La sanzione disciplinare avrebbe dovuto fondarsi su un’adeguata valutazione dei fatti e su una ponderazione delle giustificazioni addotte dall’interessato. Anche tale ponderazione fa difetto, per non dire che è stata immotivatamente disattesa un’istanza istruttoria del ricorrente (di audizione di testimoni) che avrebbe potuto corroborare le deduzioni giustificative del ricorrente nel procedimento disciplinare.

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