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AFGHANISTAN, L’ITALIA RESTA PER ARGINARE L’ISIS. IN14 ANNI SPESI 5 MILIARDI

Il
ragazzino se ne sta goffo e impacciato, con le gambe piegate in mezzo al
cortile, cercando di seguire le istruzioni per impugnare al meglio il fucile.
Di lato
una fila di suoi coetanei, maschi e femmine, attende il proprio turno per
essere addestrato, per essere iniziato alle armi e diventare un miliziano del
Califfato.

Un
martire nel nome di Allah, un nuovo combattente dello ‘Stato islamico
d’Afghanistan’.
NUOVA OFFENSIVA DELL’ISIS. Le immagini filmate da
Najibullah Quraishi e Jamie Doran per la tivù panaraba al Jazeera raccontano
la nuova emergenza dal fronte di una guerra formalmente finita, ma che non
sembra passare mai.
E che
oggi costringe i militari italiani della missione ‘Resolute support’ a rimanere
sul campo.
Per
accompagnare le forze afgane a fronteggiare i nuovi attacchi dei talebani, ma
soprattutto la nuova preoccupante infiltrazione dell’Isis.
PINOTTI: «LA MISSIONE PROSEGUE». Il 10 novembre il ministro della
Difesa, Roberta Pinotti, ha annunciato di fronte alle commissioni Esteri e
Difesa di Camera e Senato: «La partecipazione italiana (…) continuerà e non si
interromperà come inizialmente previsto».
Dei 40 Paesi coinvolti nella missione Nato in Afghanistan, l’Italia è il quarto
a rivedere i propri piani, dopo gli Usa, la Gran Bretagna e la Germania.
Un impegno rinnovato di cui non si vede la fine. E che solleva dubbi in molte
capitali dell’Alleanza atlantica come al Cremlino.  Tutto
il contintenge sul campo nel 2016, non solo i 200 previsti finora

Son
trascorsi 14 anni dall’inizio della guerra in Afghanistan, costata mille
miliardi di euro in tutto, 5 miliardi alle sole casse pubbliche italiane, e
considerata un fallimento a livello internazionale.
Alla fine del 2014 la missione di combattimento Isaf ha lasciato il posto alla
‘Resolute support’ con l’obiettivo di accompagnare la costruzione di un
esercito locale e le forze occidentali si sono ridotte da circa 140 mila a poco
più di 13mila. Eppure negli ultimi mesi il numero dei militari italiani di stanza
a Herat è cresciuto. Erano 500 a giugno 2015, oggi sono circa 800.
GLI SPAGNOLI A CASA. Il nostro impegno, come ha ricordato il
ministro Pinotti, è stato aumentato perché «abbiamo dovuto sostituire gli
spagnoli» che a fine ottobre 2015 hanno completato il ritiro dopo 13 anni di
impegno e 102 morti.
E ora come ha sottolineato il ministro c’è «un’esigenza nuova: sono segnalate
infiltrazioni dell’Isis all’interno del territorio afghano, con tentativi di
dialogo con al Qaeda ed una ripresa delle azioni insurrezionali in molti
distretti».
NEL 2015 SPESI 126 MILIONI. La missione italiana, per cui a
febbraio sono stati stanziati 126,4 milioni di euro, resta di addestramento e
consulenza nell’organizzazione e nella logistica.
Il problema, ha proseguito la titolare della Difesa, «è che si sono registrate
tante perdite tra le forze afgane, pari a 650 uomini al mese».
IL 90% DEI FONDI È OCCIDENTALE. L’obiettivo dell’Alleanza atlantica
è mettere in piedi un esercito di almeno 350mila uomini. Per ora la meta è distante
e il 90% della spesa militare è sostenuta dai Paesi occidentali.
L’Italia dunque resta per continuare ad assistere la costruzione della difesa
locale, chiamata ad affrontare una doppia minaccia: i Talebani e l’Isis, in
contatto ma anche in lotta tra loro.
E lascia sul campo nel 2016 tutto il contingente, invece che i 200 militari
previsti finora.
Gli
Stati Uniti di Obama hanno deciso di bloccare il ritiro da Kabul e sono andati
in pressing sugli alleati Nato.
Per ora ufficialmente hanno risposto in tre: resteranno i britannici con i loro
450 militari, i tedeschi con 850 soldati e gli italiani.
A loro, secondo le indiscrezioni trapelate dalla Nato, dovrebbe unirsi anche la
Turchia, che ha sul campo un contingente di 500 soldati, secondo gli ultimi
dati di giugno.
A DICEMBRE IL VERTICE RISOLUTIVO. Dal quartier generale dell’Alleanza
Atlantica di Bruxelles fanno sapere a Lettera43.it che le
adesioni al prolungamento della missione saranno chiare solo alla riunione dei
ministri fissata a inizio dicembre.
Con la speranza che qualcun altro si prenda la responsabilità di restare al
fronte che nessuno vuole chiamare fronte. Una nazione in conflitto permanente
dalla quale fuggono centinaia di migliaia di profughi diretti in Unione
europea.
DIPLOMATICI DELLA NATO SCETTICI. Ma tra i diplomatici della Nato a
Bruxelles il malcontento cresce.
«Le forze alleate», è la testimonianza raccolta dalla Reuters il
5 novembre, «non possono aiutare per sempre… E già ora li stiamo aiutando più
di quanto vorremmo».
Nessuno crede che gli afgani, con il loro esercito corrotto, senza strutture e
mezzi e incapace di controllare interamente il territorio, possano farcela da
soli.
In pochi però sono convinti che, dopo 14 anni, il prolungamento della presenza
occidentale possa cambiare davvero le condizioni sul campo. 
L’Isis
sogna il Califfato asiatico e Putin invia armi a Kabul
Le
condizioni sul campo sono quelle descritte dal presidente russo Vladimir Putin
nel vertice con i leader delle ex Repubbliche sovietiche a metà ottobre: «La
situazione è vicina al punto critico. Diversi terroristi stanno guadagnando
posizioni e non nascondono le loro aspirazioni a un’ulteriore espansione».
CALIFFATO IN SETTE PROVINCE. Dal 2014 grazie al reclutamento tra i
talebani pakistani delusi, l’Isis si è infiltrato in Afghanistan, in
particolare nella regione orientale di Nangarh.
E oggi, secondo al Jazeera, la sua presenza è confermata in almeno
sette province.
Il suo progetto di espansione nello Stato simbolo del fallimento militare
occidentale si sta scontrando con i talebani.
Gli orfani del Mullah Omar, divisi al loro interno tra la fazione legata alla
vecchia leadership e la nuova che fa capo a Mullah Akhtar Mansoor, combattono
per l’indipendenza della nazione nel nome del salafismo e della sharia, ma
contemporaneamente trattano con il governo centrale e con gli americani.
I seguaci del Califfo hanno invece come obiettivo la restaurazione del
Khorasan, antico dominio islamico che comprende parte dell’Iran,
dell’Afghanistan, del Turkmenistan, del Tagikistan e dell’Uzbekistan dove il
Movimento islamico locale fornisce appoggio ai combattenti afgani.
RELIGIONE CONTRO ARMI. Anche le prassi sul campo sono differenti.
I taliban educano i ragazzini afgani a imparare il Corano a memoria, hanno
raccontato gli inviati di al Jazeera, i miliziani dell’Isis a prendere le armi.
L’8 novembre gli scontri tra le due fazioni sono deflagrati e nella provincia
di Zabul i qaedisti hanno impiccato 15 miliziani neri.
La ‘competizione’ del terrore ma anche la possibilità di un asse tra le frange
più estremiste dei Talebani e lo Stato islamico spiega il cambiamento dei piani
americani. E anche le numerose ipotesi, circolate sulla stampa internazionale,
di un possibile maggiore coinvolgimento della Russia, già impegnata a vendere
armi e assistenza all’areonautica di Kabul.
PUTIN ATTREZZA LA BASE DI CONFINE. Il 10 novembre l’ambasciatore
russo in Afghanistan ha confermato l’invio di una nuova fornitura di armamenti
che potrebbe includere elicotteri, ricambi e munizioni.
Il Cremlino recentemente ha inviato nuovi equipaggiamenti anche alla più grande
base militare russa fuori dai suoi confini, alla frontiera tra Afghanistan e
Tagikistan. I timori crescono, a Washington come a Mosca.
A Kabul, dunque, si ripropone il dilemma di Damasco. Con l’Isis che guadagna
posizione tra le incertezze della strategia occidentale e un altrettanto
incerto protagonismo russo.

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