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2 GIUGNO, CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA DIFESA: NOI MILITARI NELLA BUFERA. TROPPI TAGLI, COSÌ SI RISCHIA

«Di questi tempi la
navigazione è difficoltosa, c’è mare incrociato». Si esprime così, prendendo a
prestito i termini della marineria, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, capo
di Stato maggiore della Difesa, per descrivere la situazione presente dei
militari italiani. Che vuol dire, ammiraglio, “mare incrociato”?
«Si dice “mare
incrociato” quando il moto ondoso non ha una direzione chiara e ben definita ma
irregolare e confusa. È difficile tenere la barra dritta».

E fuor di metafora?
«È un momento in
cui il sistema Difesa viene attaccato da tutte le parti. Attacchi che non ci
meritiamo. Siamo nell’occhio del tifone per le spese e per le presunte
inefficienze del sistema. Oggi tutti parlano di spending review e dimenticano
che le Forze armate, negli ultimi tempi, ne hanno fatte già due, di spending
review. Abbiamo avviato la riduzione di 50mila uomini che sarà completata entro
il 2014, ed è una scelta coraggiosa. Per questo ho parlato di “mare
incrociato”: è una navigazione tempestosa; i militari italiani invece avrebbero
bisogno di seguire una rotta sicura, avere cioè la certezza del sostegno del
Governo e del Parlamento. Speriamo che la pubblicazione del “libro bianco della
Difesa”, a cui stanno lavorando gli esperti scelti dal ministro Pinotti, fissi
con nettezza di profili le possibilità di azione di noi militari, coerentemente
con il ruolo internazionale dell’Italia».
E’ vero che tra i
“saggi” che stanno lavorando al libro bianco non ci sono né generali né
ammiragli?
«È vero».
Lei sarà
consultato?
«Credo proprio di
sì».
Domani, per la
Festa della Repubblica, si prevede il consueto bagno di folla. Non sembra che
il Paese sia disaffezionato ai propri militari.
«Il Paese no, anzi.
Giovedì sono tornato dall’India dove sono stato a salutare Latorre e Girone, i
nostri due marò. Sta cambiando il governo indiano e questo è un momento di
particolare attesa. Ma loro due continuano ad essere un esempio di dignità e di
senso della responsabilità per tutti i militari che servono il Paese. Alla
sfilata io vedo l’affetto che ricevono i militari al loro passaggio. Perciò non
capisco gli attacchi strumentali che riceviamo da altre parti negli ultimi
tempi».
Forse ha influito la storia degli F35 e dei soldi da spendere per queste
macchine da guerra. In un momento di congiuntura come quello attuale, la
vicenda è impopolare. Lei che ne pensa?
«Non sta a me
decidere su quanti F35 acquistare. Dico però che un certo potere di deterrenza
è necessario. Guardate il conflitto siriano: si sta risolvendo per via
diplomatica ma la deterrenza rappresentata da un possibile intervento armato è
stata decisiva. Senza di quella tutto sarebbe stato più complicato».
Ammiraglio, alle Forze armate si sta chiedendo sempre più di stringere la
cinghia. C’è un limite oltre il quale è impossibile andare?
«Sì e ci siamo
vicini. L’addestramento del personale è la cosa che più mi sta a cuore e non è
possibile, su questo punto, raschiare ulteriormente il fondo del barile. Oggi
le Forze armate italiane, grazie a quello spirito di sacrificio che le
contraddistingue, sono alla pari, come capacità operative, a quelle di altri
Paesi che dedicano alle loro Forze armate risorse ben più cospicue delle nostre.
Ma se continuiamo su questa china rischiamo di arrivare a depauperare il
patrimonio di esperienza accumulato in venti anni di missioni internazionali».
Presto inizierà il
semestre italiano di presidenza della Ue.   
Ci batteremo per una Difesa europea?

«È un obiettivo
irrinunciabile. Anche se il meccanismo europeo è macchinoso e lento. Non ha
ancora, purtroppo, tempi di reazione compatibili con quelli dello scenario
internazionale. Dovremmo intanto capire che l’Europa non può farsi carico di
tutte le crisi del mondo. Anche gli Usa l’hanno capito. E quindi dividerci il
carico delle missioni internazionali. Se l’Italia fa Mare nostrum e si impegna
in Libia dovrebbe poterlo fare sotto la bandiera Ue e con i fondi dell’Unione.
E non serve che una nave norvegese venga fin nel Mediterraneo. Quella può fare
un’altra cosa. Altrimenti i costi diventano insostenibili. L’Europa dovrebbe
saperlo».

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